#1point5: Per l’IPCC occorre tagliare i combustibili fossili entro il 2030
«È probabile che il riscaldamento globale raggiungerà 1,5° C oltre il livello preindustriale tra il 2030 e il 2052 se continua ad aumentare al ritmo attuale». Lo ha sostenuto l’IPCC, l’organizzazione governativa che studia il fenomeno, l’ultimo rapporto dello scorso ottobre 2018.
Alla stesura del rapporto hanno contribuito anche la triestina Anna Pirani e l’italo-norvegese Angela Morelli.
«Si stima che le attività umane abbiano causato circa 1,0°C di riscaldamento globale al di sopra dei livelli preindustriali», precisa l’IPCC. Tale livello comporterà dei «rischi per i sistemi naturali e umani».
Le previsioni sul clima del rapporto dell’IPCC
In particolare, si prevede che il numero di giorni caldi aumenterà nella maggior parte delle regioni terrestri, con i maggiori aumenti ai tropici. Inoltre gli estremi di temperatura si innalzeranno tra i 3 (nelle latitudini medie) e i 6 gradi (latitudini elevate). Ciò comporterà aumento del rischio di incendi boschivi, di diffusione di specie animali e vegetali invasive, la riduzione delle aree di diffusione di innumerevoli specie di piante, d’insetti e di vertebrati.
Ma, soprattutto, aumenterebbero i rischi per la salute umana: tanto per lo sviluppo della malaria e della febbre dengue, quanto per le “ondate di calore” nelle aree urbane.
In riferimento al previsto innalzamento del livello medio del mare, le proiezioni (rispetto al 1986-2005) «suggeriscono un intervallo indicativo di 0,26-0,77 m entro il 2100 in caso di 1,5°C di riscaldamento globale». Tuttavia, prosegue l’IPCC, l’aumento di 1,5-2 gradi della temperatura terrestre potrebbe innescare, in un lungo arco di tempo, «l’instabilità dello strato di ghiaccio marino in Antartide e/o la perdita irreversibile dello strato di ghiaccio della Groenlandia che potrebbe comportare un innalzamento di più metri del livello del mare».
Per l’IPCC esistono delle soluzioni: usare le energia rinnovabili
Tali nuove condizioni di vita potranno, comunque, essere affrontate con «attuazione delle opzioni di adattamento e mitigazione».
L’IPCC stima che, attualmente, siano l’industria (col 25%), le abitazioni (23%), i trasporti (23%), i maggiori produttori di C02 e quindi responsabili del surriscaldamento climatico.
Al fine di intervenire per il contenimento dell’aumento della temperatura globale entro 1,5° C, i tecnici dell’IPCC suggeriscono «una profonda riduzione delle emissioni di metano e di carbonio nero (35% o più di entrambi entro il 2050 rispetto al 2010) […], di ridurre il protossido di azoto e il metano provenienti dall’agricoltura».
In tale ottica di riduzione, per l’IPCC, si dovrà tenere conto, altresì, del «potenziale rilascio aggiuntivo di carbonio derivante dal futuro scioglimento del permafrost».
L’IPCC non indica misure precise e rinvia le scelte ai politici cui però assegna poco tempo e poco CO2 da immettere ancora nell’atmosfera. La data limite è il 2030. Nel 2015, la temperatura del pianeta ha già raggiunto circa 0,87°C d’aumento oltre l’era pre-industriale (1850) e «si stima – aggiungono i tecnici – che il riscaldamento globale antropogenico sia attualmente in aumento a 0,2°C per decennio a causa di emissioni passate e in corso». Intervenire, quindi, dopo il 2030, conclude il rapporto dell’IPCC, potrebbe significare dover operare «il blocco delle infrastrutture che producono emissioni di carbonio».
Qui puoi scaricare il PDF del rapporto dell’IPCC.
Se vuoi seguire qualche intervento di Anna Pirani e Angela Morelli vedi i seguenti video.
https://www.youtube.com/watch?v=KqIQkO-66tA
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