Reddito di Cittadinanza: la risposta di Confindustria, Sindacati e Associazioni
Come da prassi, la Commissione competente del Senato, preliminarmente dall’affrontare l’esame il Decreto Legge sul Reddito di Cittadinanza ha incontrato e ascoltato rappresentanti delle Parti Sociali, ovvero imprenditori, sindacati e il mondo delle associazioni. Tutti hanno depositato delle memorie scritte di cui di seguito riportiamo i passi più significativi.
La posizione del Sindacato filo-governativo
La Triplice Sindacale (CGIL – CISL – UIL) – a leggere la memoria prodotta – boccia il Reddito di Cittadinanza per il semplice motivo che loro sposavano il precedente strumento di lotta alla povertà targato Partito Democratico: il REI, il Reddito di Inclusione, ora invece cancellato da quello targato Cinque Stelle.
Per i Sindacati concertativi era, ed è, «fondamentale il coinvolgimento dei Comuni attraverso il servizio sociale professionale», come avveniva con lo strumento del REI.
Nel merito delle proposte di modifica al provvedimento, CGIL – CISL – UIL suggeriscono un «rafforzamento della scala di equivalenza, apposite maggiorazioni in presenza di disabili, un importo aggiuntivo a copertura dei costi dell’abitare per le famiglie numerose con minori». Il sindacato, infine, richiede di intervenire sul «requisito di residenza da almeno 10 anni inaccettabile sotto il profilo dell’incostituzionalità».
In conclusione, per i Sindacati «la priorità deve un lavoro di qualità per tutti».
La posizione di Caritas e mondo associazionistico
Sbalorditiva la conclusione cui giunge la “Alleanza contro la Povertà” (rete di diverse organizzazioni tra cui sempre la Triplice Sindacale, la CARITAS e le ACLI). «Benché un incremento degli stanziamenti [a favore della lotta alla povertà, NdR] sia necessario, è sconsigliabile portarlo subito ai 5,8 miliardi annui aggiuntivi» del Reddito di Cittadinanza! Ciò, per “Alleanza per la Povertà”, perché «porrebbe il Reddito di Cittadinanza sullo stesso piano di un mero contributo economico».
La CARITAS, tuttavia, ha prodotto anche un proprio documento autonomo. L’Ente, in particolare, suggerisce di intervenire sul Decreto in merito al requisito della residenza in maniera inclusiva e non creando «diseguaglianze nell’accesso» e chiede di essere coinvolta – come era col REI – nella governance dello strumento con sostegno finanziario alle proprie attività locali e ai propri sportelli di assistenza denominati “Centri di Orientamento”.
La posizione della Confindustria ovvero dei Padroni
Vista la debole posizione sindacale, la Confindustria opta per assumere essa il ruolo di difensore del lavoratore e, in particolar modo, della sua “dignità”. Per questa Organizzazione, quindi, si legge nella memoria, «occorre evitare derive assistenzialistiche, che negano la dignità del lavoro»!
Gli Industriali, poi, sono in perfetta linea coi Sindacati (o è il contrario?) e bocciano lo strumento del Reddito di Cittadinanza a favore del previgente Reddito di Inclusione (REI) approvato dal governo Gentiloni. In proposito, la Confindustria ricorda come, nel 2018, hanno beneficiato del REI 1.329.325 persone, in particolare in Campania e Sicilia, per un importo medio mensile pari a 295,88 euro (chiaramente si tratta di un importo distribuito “a nucleo familiare” e non a persona).
La Confindustria sollecita maggiori interventi del governo a favore delle “politiche attive” del lavoro (ovvero incentivi a chi assume) piuttosto che delle “politiche passive” (sostegno a chi perde il lavoro) al fine di «favorire un mercato del lavoro più dinamico».
In particolare, secondo i Padroni, occorre individuare «meccanismi che spingano gli individui a cercare un’occupazione» (Marx chiamava il meccanismo creazione di un “esercito industriale di riserva”) e «incentivi che incoraggino le imprese ad assumere».
I Padroni sono più chiari e criticano «il livello troppo elevato del beneficio economico. I 780 euro mensili che percepirebbe un single, privo di altro reddito dichiarato, potrebbero scoraggiarlo dal cercare un impiego, considerando che in Italia lo stipendio mediano dei giovani under 30, al primo impiego, si attesta sugli 830 euro netti al mese: 910 al Nord (820 per i non laureati) e 740 al Sud (700 per i non laureati)».
Desta in noi preoccupazione leggere, in sostanza, che chi sfrutta i lavoratori, il Padronato, e chi li dovrebbe difendere, i Sindacati, dicano la stessa cosa.
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