Hans Kelsen: Democrazia e Libertà non sono sinonimi
« La mia libertà finisce dove comincia la tua ». Ieri un giovane sconosciuto, commentando le restrizioni alla Costituzione imposte dal regime Conte prima e da quello di Draghi poi in tempi di Covid, ha recitato la nota frase che ultimamente è tornata di moda.
La discussione era partita però dal sostenere, lui, che in Russia vi è una dittatura mentre l’Italia è uno Stato democratico.
Ma esiste veramente questa differenza tra uno Stato sostanzialmente autocratico quale la Russia e uno Stato sedicente democratico quale l’Italia o un qualsiasi altro Paese europeo?
Rousseau: il Popolo è libero soltanto durante le elezioni
Alla domanda ha già dato risposta il filosofo svizzero Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) nel suo libro “Il contratto sociale”: « il popolo inglese crede di essere libero, ma si sbaglia assai: è libero soltanto durante le elezioni dei membri del Parlamento; eletti i membri, vive di schiavitù, è un nulla ».
Ancora più netto è Hans Kelsen [1] che sostiene senza ipocrisie come « la discordanza fra la volontà dell’individuo e l’ordine statale … è inevitabile ».
Hans Kelsen: chi è sottomesso allo Stato non è libero
Kelsen quindi inverte la domanda: « perché non riconoscere ormai che l’individuo che deve essere sottomesso all’ordine dello Stato non è libero? ».
Indubbiamente, spiega Kelsen, « se ci deve essere società e, più ancora, Stato, di deve essere un regolamento obbligatorio delle relazioni degli uomini fra di loro » ( la Costituzione, e i Codici Civile e Penale, ad esempio ).
Tuttavia, aggiunge, « la storia insegna che il potere democratico non tende ad espandersi meno di quello autocratico ».
In definitiva, col sistema “democratico”, « si è scartata l’idea che gli individui siano dominati da propri simili » ( autocrazia ) ma non si ammette che solo « il velo della personificazione dello Stato copre il fatto, insopportabile ad una sensibilità democratica, di un dominio dell’uomo [ il primo ministro, il governo, la maggioranza, NdR ] sull’uomo ».
Hans Kelsen: la Democrazia è solo un’approssimazione alla Libertà
La contraddizione tra Stato Democratico e Libertà emerge quando si comprende che, in Democrazia, « quella che vale è la legge della maggioranza ».
Siamo difronte ad « un nuovo progresso della metamorfosi dell’idea di Libertà ».
Spiega Kelsen, quindi, che se « un individuo non vale più dell’altro » allora non si può che sostenere che « la volontà della maggioranza sia quella che deve valere ».
In conclusione, « il principio della maggioranza assoluta rappresenta [solo, NdR] l’approssimazione relativamente maggiore dell’idea di libertà ». Per essere più chiari: con la Democrazia « si cerca di assicurare la libertà non di questo o di quell’individuo perché questo vale di più di quello, ma del maggior numero possibile di individui ».
Atteso che, in uno Stato autocratico, una maggioranza può sempre abbattere con la forza l’individuo al potere ( e gli esempi li abbiamo ), a me sembra in maniera incontestabile affermato che Stato democratico ( Democrazia ) e Libertà non sono sinonimi.
E ciò tanto in caso di democrazia rappresentativa ( parlamentare ) che diretta.
L’idea di Libertà, quindi, è incompatibile proprio con quella di Stato.
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Fonti e Note:
[1] Hans Kelsen, “La Democrazia” (editore Il Mulino), pag. 45-55.
Hans Kelsen (Praga, 11 ottobre 1881 – Berkeley, 19 aprile 1973) è stato un giurista e filosofo austriaco, tra i più importanti teorici del diritto del Novecento e il maggior esponente del normativismo.
Nell’agosto 1919, divenne professore ordinario di diritto pubblico alla Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Vienna. Nel 1920 partecipò alla scrittura della prima costituzione liberal-democratica e federale della Repubblica austriaca. L’anno dopo venne eletto giudice a vita della Corte Costituzionale della Repubblica austriaca.
Di nazionalità austriaca, nel 1933, per via della ascesa del nazismo in Germania e della sua origine ebraica, Kelsen dovette lasciare la sua carica universitaria, trasferendosi a Ginevra e, nel 1940, negli Stati Uniti. Passò due anni all’Harvard University, dopo di che si trasferì a Berkeley per insegnare alla University of California, dal 1945 al 1952.
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