Pena di morte contro il dissenso in Arabia Saudita
La recente notizia della nuova condanna alla pena di morte, in Arabia Saudita, comminata al docente sessantacinquenne Awad Al-Qarni ciscuote e comporta una riflessione.
Intanto va evidenziato che essa è figlia della « della vasta repressione del principe ereditario Mohammad bin Salman contro il dissenso, che ha visto finire in prigione alcuni dei più importanti accademici, giornalisti e predicatori del regno » [1].
Arabia Saudita: nel 2021 ben 65 condanne alla pena di morte
Insomma, l’Arabia Saudita è tutt’altro che un Paese democratico e liberale. Nel 2021, ricorda Amnesty, sono state eseguite 65 condanne alla pena di morte [2]. Eppure si sente parlare di tale tirannia molto meno di quella, invisa agli USA, dell’Iran.
Lo stesso, nel silenzio restano le denuncie di Amnesty dei crimini contro umanità di Israele.
Che ci sia una colpevole sudditanza dei media nei confronti dei Paesi alleati?
Appare un paradosso poi come da un lato « l’investitore e principe saudita Alaweed bin Talal detiene la seconda maggiore partecipazione in Twitter dopo Elon Musk », mentre dall’altro la pubblicazione di proprie opinioni sul social sia la ragione della condanna tanto di Awad Al-Qarni, quanto, solo ad esempio, di Salma al-Shehab, una dottoranda condannata lo scorso anno a 34 anni di carcere per le stessi ragioni.
Insomma, scrive il quotidiano inglese Mirror, « appare chiaro che Riyadh sta criminalizzando l’uso dei social media e di altre forme di comunicazione online ».
In definitiva, conclude il Mirror, « nonostante i tentativi di Mohammed bin Salman di proiettare un’immagine internazionale di modernità, il nefasto conservatorismo del Paese continua a trapelare ».
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Fonti e Note:
Credits: Foto di Maria Oswalt su Unsplash.
[1] Mirror, 15 gennaio 2023, “Respected academic sentenced to death in Saudi Arabia for sharing articles on WhatsApp”.
[2] Amnesty, 24 maggio 2021, “Rapporto sulla pena di morte nel 2021: enorme aumento delle esecuzioni in Iran e in Arabia Saudita”.
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