Digitale alternativo o decrescita digitale?
Mentre qualcuno propone un “digitale alternativo” [1], qualche altro, suggerisce più radicalmente di « bruciare un’antenna 5G, boicottare la didattica a distanza o rifiutare la biometria ».
Possibile?
« Per molti versi, il digitale è diventato il sistema nervoso del capitalismo globalizzato e il nuovo idolo da venerare per gli zeloti della religione del Progresso », rispondono in un saggio Julia Laïnae e Nicolas Alep [2].
Infatti, « la tecnologia digitale, sulla scia della meccanizzazione e dell’automazione, ha portato negli ultimi cinquant’anni a massicce mutazioni nel sistema produttivo ».
Se « il nostro uso del digitale diventasse più ponderato, ogni singolo rifiuto ci porrebbe un po’ più ai margini della società e la domanda diventerebbe ben presto: “Che grado di marginalità sono disposto ad assumermi?” ».
In sostanza, chi « vuole vivere nella società, a meno che non la cambi, si trova condannato ad adottare le tecnologie ».
D’altro canto, spiegano subito gli autori, « il rifiuto individuale dell’informatica, anche su vasta scala, non minerebbe in alcun modo il regno » del digitale, della tecnologia.
Rapporto digitale e lavoro, digitale e controllo di massa
Oltre all’aspetto strettamente comunicativo, la digitalizzazione sta avendo, avrà sempre di più, grandi ripercussioni nel campo del lavoro.
« Nei paesi sviluppati, dopo l’eliminazione di gran parte dei contadini nelle prime ondate di sconvolgimenti tecnoscientifici, seguiti dagli operai a causa dell’automazione, quindi dagli impiegati grazie all’informatizzazione, questa volta ci viene promessa lo smantellamento delle professioni intellettuali e la loro sostituzione con algoritmi e intelligenza artificiale » [3], scrive Nicolas Alep.
Da tempo la Deloitte, società specializzata nella gestione delle “Risorse Umane” (che termine orribile!) ha avvisato delle ripercussioni della tecnologia sull’offerta di lavoro.
Da qui la distopica verità: « siamo ridotti a essere l’iterazione di un database per gli Stati [ entro il 2026 lo stato centralizzerà tutti i nostri dati con un ID digitale ] , un profilo di consumatori per i GAFAM e i servi della macchina per i nostri datori di lavoro ».
« In queste condizioni – sostiene Nicolas Alep – , una diminuzione della presa tecnologica appare impossibile allo stato attuale. Riportare le persone sul posto di lavoro – gli sportellisti negli uffici pubblici, gli artigiani al posto delle fabbriche automatizzate, gli agricoltori al posto dei trattori guidati dal GPS e gli insegnanti nelle aule – non sarà facile ».
Chi può dire che abbia torto?
La decrescita digitale passa dalla decrescita nell’intera società
« Il progresso non può essere fermato »!
Una “decrescita” appare sinceramente impossibile, forse potremmo essere in tempo però per una “de-escalation tecnologica”.
Certamente, « dobbiamo dispiegare i nostri sforzi ovunque, in opposizione alla digitalizzazione delle scuole, contro la massificazione del telelavoro, per la salvaguardia degli sportelli nelle amministrazioni; contro la smart city, contro il GAFAM e contro il tecno-Stato », prosegue Nicolas Alep.
L’autore però avverte: « costruire alternative non significa sostituire l’esistente con il suo equivalente “libero” […] la de-escalation digitale non consiste semplicemente nell’eliminare il computer, ma nell’organizzare diversamente l’intera società in modo da poterne fare a meno ».
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Fonti e Note:
[1] Ad esempio sostituire Chrome con Firefox o Brave, Google con Duckduckgo, Gmail con Tutanota, Google News con Feeder, Windows con Linux, Facebook e Twitter con Mastodon, Google traduttore con Deelp, etc.
[2] Un’ampia sintesi su Rivista Malatamente, n. 30/23, “Spunti di riflessione per una decrescita digitale”.
[3] « Bisogna anche considerare che, se tanti ambiti della nostra società possono essere informatizzati, è perché una serie di meccanismi hanno preparato il terreno. A monte dell’algoritmo, c’è l’organizzazione scientifica del lavoro. Quando un lavoro viene cancellato e sostituito da un programma, è perché era già stato degradato, standardizzato e razionalizzato ».
« L’operaio costretto a fare sempre lo stesso gesto può ben essere rimpiazzato da una macchina. Lo stesso vale per l’impiegato che non fa che ripetere sempre le stesse operazioni: una volta raggiunta questa situazione, è facile la sua sostituzione con un algoritmo. Se è possibile sostituire i giornalisti con l’intelligenza artificiale, non è solo per l’evoluzione tecnologica, ma anche perché le attuali basi della professione – riscrittura di servizi pre-impostati da parte delle agenzie di stampa, ossessione per il flusso e l’immediatezza – l’hanno degradata al punto da creare le condizioni per la sua automazione ».
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