Carcere: misure alternative, ma per chi?

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Il sistema penitenziario italiano, con le sue contraddizioni, è da tempo oggetto di critiche riguardanti la sua effettiva funzione, l’efficacia rieducativa «e sulla sua capacità di garantire giustizia e reinserimento sociale.

In un articolo pubblicato sulla Rivista Libertaria, Antonello Azzarà ha affrontato queste tematiche, evidenziando come «alla perdita della libertà personale, intesa per lo più come libertà di spostamento, si accompagna sovente la perdita di una pluralità di diritti che va da quello all’affettività, alla sessualità, alla salute, alla libertà di manifestazione del proprio pensiero e di autodeterminazione» [1].

Azzarà sottolinea inoltre la presenza di una violenza pervasiva – «perenne», scrive – all’interno delle carceri, sia nei rapporti tra detenuti sia in quelli con le istituzioni, condizione «che rende il carcere un posto certamente più tormentato rispetto a qualsiasi altra condizione di miseria esterna».Questa violenza rimane spesso invisibile al mondo esterno, salvo episodi eclatanti come «la rappresaglia nel carcere di Santa Maria Capua Vetere», che ha rivelato solo una piccola parte delle dinamiche interne al sistema penitenziario, «la punta di un iceberg a cui si deve aggiungere il sommerso» [ogni tanto escono anche altre violenze, come quelle del Cerulli di Trapani o quelle di Reggio Emilia costate la condanna a 10 agenti, N.d.R.].

Ce lo chiede l’Europa: più misure alternative al carcere

Azzarà non tratteggia però un quadro esclusivamente negativo: «Seppure il principale strumento di repressione, la pena regina, resti la detenzione carceraria, in Italia, come nel resto del mondo occidentale, è in corso una tendenziale espansione delle misure alternative al carcere».

Negli ultimi decenni, si è assistito a un ampliamento delle misure alternative alla detenzione, sostenuto anche dal Consiglio d’Europa con le Raccomandazioni 16/1992 e 22/2003. Questi provvedimenti, noti come community sanctions, mirano a «mantenere il reo nella società con l’imposizione di obblighi e condizioni».

Secondo i dati del Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità (DGMC), al 31 dicembre 2024 le persone prese in carico dall’Ufficio Esecuzioni Penale Esterno nelle esecuzioni esterne le misure di comunità [2] erano 93.880, il 51% in più dei 61.861 in carcere (di cui 9.475 in attesa di primo giudizio) [3]. Tuttavia, il carcere rimane ancora centrale nel sistema punitivo italiano: il 55% dei condannati vi transita, contro il 28% in Germania, il 30% in Francia e il 36% in Inghilterra e Galles [4], precisa Azzarà.

La denuncia: molte categorie di detenuti escluse da misure alternative

Azzarà, ancora su Rivista Libertaria, evidenzia come nonostante l’aumento delle misure alternative alla detenzione, molte categorie di detenuti però ne restano escluse.

Gli stranieri irregolari, ad esempio, non hanno alcuna possibilità di reinserimento, poiché destinati all’espulsione. L’espulsione dello straniero irregolare, prevista dal Testo Unico sull’immigrazione (D.Lgs. 286/1998), è formalmente considerata una misura alternativa alla detenzione, ma non offre alcuna prospettiva di reinserimento per il detenuto, trasformandosi in una sanzione ulteriore.

Inoltre, i senza fissa dimora e i nullatenenti, privi di risorse economiche e di una rete sociale di supporto, non possono accedere alle misure alternative: «Per loro – precisa quindi Azzarà – il carcere desocializzante e violento resta l’unica modalità di esecuzione fino all’ultimo giorno di pena».

Questa esclusione si inserisce nella tendenza che Alessandro De Giorgi ha definito una “politica penale escludente”, ossia un modello di giustizia che punisce e marginalizza ulteriormente chi si trova già ai margini della società.

Se le misure alternative restano riservate a chi ha già risorse economiche e sociali, il sistema continuerà a escludere i più vulnerabili.

Le misure alternative non bastano: serve depenalizzare

Perché l’espansione delle misure alternative abbia un reale impatto, deve accompagnarsi a una ridefinizione complessiva del diritto penale, riducendo il numero di reati punibili con il carcere e avvicinandosi a un modello di diritto penale realmente minimo.

L’attuale modello repressivo risponde in maniera inadeguata all’articolo 27 della Costituzione, cioè alla “rieducazione” del condannato. Un problema che affonda le radici nel passato. Ricorda Azzarà nel suo articolo, infatti: «Che il carcere abbia sempre tradito la sua promessa rieducativa e risocializzante era cosa già nota almeno da quando Filippo Turati, esponente socialista e tra i primi a denunciare le condizioni carcerarie in Italia, il 18 marzo 1904, resocontava alla Camera dei deputati lo stato delle carceri italiane in questi termini: “le nostre carceri sono fabbriche di delinquenti, o scuole di perfezionamento dei malfattori”».

In verità l’affermazione di Turati non era originale. Lo aveva sostenuto ben prima, nel 1877, l’anarchico Pietro Kropotkin.

È fondamentale che il dibattito pubblico si concentri su queste problematiche, affinché si possano adottare riforme che rendano il sistema penale più equo e rispettoso dei diritti umani.

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Fonti e Note:

[1] Semi Sotto la Neve “Rivista Libertaria”, n. 5 – giugno 2023, Antonello Azzarà, “Come vuoi essere punito? Le alternative al carcere tra disciplina ed esclusione”.

[2] Alcune delle voci :

  • Affidamento in prova al servizio sociale … 32.052 soggetti in carico,
  • Messi alla prova …………………………. 26.426
  • Detenzione domiciliare ………………….. 13.194
  • Libertà vigilata …………………………… 4.968
  • Lavoro di pubblica utilità sostitutivo …….. 4.138
  • Semilibertà ……………………………….. 1.256.

[3] Ministero della Giustizia, 10 gennaio 2025, “Adulti in area penale esterna – Analisi statistica dei dati”.

[4] A Buon Diritto, 10 giugno 2022, “Perché abolire il carcere così come lo conosciamo”.

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Natale Salvo

Nato e cresciuto nella terra del “Gattopardo”, la Sicilia. Ha dedicato la propria esistenza all'impegno sociale. Allenatore di una squadretta di calcio di periferia, presidente del circolo di Legambiente, candidato sindaco per il Partito Umanista. Infine blogger d’inchiesta; ha pagato le sue denunce di cattiva amministrazione con una persecuzione per via giudiziaria. E' autore del libro "La rivoluzione copernicana chiamata Reddito di Base", edito da Multimage, Firenze.

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