Riflettiamo sull’8 marzo: la parità di genere oggi esiste?
8 marzo, giornata internazionale della donna. Penso che ci sia ben poco da festeggiare e debba essere, invece, una giornata di riflessione.
La donna, che sia madre, compagna o figlia, la si dovrebbe amare ogni giorno.
L’8 marzo serve a ricordarlo.
Poi serve a ricordare il contenuto dell’articolo 3 della Costituzione.
Quello che recita «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso».
Donne e uomini sono «uguali davanti alla legge»?
Hanno, ad esempio, stessi diritti e stessi doveri rispetto al lavoro e alla cura della famiglia?
Nel campo dell’occupazione sembra di no: solo il 49% delle donne hanno trovato un lavoro, contro il 67% degli uomini.
Nel campo della famiglia, secondo l’art. 143 del Codice Civile, la risposta è affermativa: «Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri … Entrambi i coniugi sono tenuti … a contribuire ai bisogni della famiglia».
Vediamo, però, la realtà fattuale:
- L’uomo, impegnato molte ore al giorno nel lavoro professionale, è spesso «costretto» a rinunciare di seguire la loro istruzione ed educazione;
- La donna è spesso «costretta» a rinunciare a capitalizzare i propri studi e le proprie ambizioni professionali, a «svolgere la propria personalità», a favore del lavoro «casalingo»;
- La donna è spesso «costretta» a farsi carico anche del lavoro «casalingo» anche quando svolge un lavoro professionale esterno.
Mi sembra chiaro che l’art. 3 della Costituzione – «uguali davanti alla legge» – non venga per nulla rispettato.
Come se ne esce?
C’è chi propone di indirizzare la donna esclusivamente al lavoro «casalingo».
Mario Adinolfi, presidente del movimento politico «Il Popolo della Famiglia», suggerisce «l’istituzione del reddito di maternità (1.000 euro al mese di indennità per le donne italiane che decideranno di dedicarsi in via esclusiva alla cura della famiglia)».
Non condivido la proposta.
Attribuire un diritto solo alle «italiane» o solo alle «donne», piuttosto che ai «cittadini» tutti, straniere residenti o uomini che siano, viola l’art. 3 della Costituzione in quanto discriminante!
E se nella coppia, di comune accordo, si decidesse di assegnare proprio all’uomo il lavoro «casalingo» questi ne avrebbe alcun riconoscimento secondo Adinolfi?
La proposta, poi, terrebbe in seno dei gravi rischi.
Se si rompesse il rapporto coniugale dopo che la donna aveva deciso «di dedicarsi in via esclusiva alla cura della famiglia» uscendo dal mondo del lavoro, potrebbe facilmente farvi ritorno se nel frattempo non è più giovane e aggiornata professionalmente?
Io credo che invece, occorre riconoscere a entrambi i partner il diritto di «svolgere la propria personalità» anche nel mondo professionale esterno.
La soluzione, quindi, potrebbe essere semplicemente ottenuta, da un lato con una consistente riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario per entrambi i compagni, dall’altra con la realizzazione di servizi di assistenza alla famiglia certi e gratuiti (asili nido, ecc).
Qual’è la tua riflessione sulla «parità di genere» per questo 8 marzo?
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