A che serve la scuola?

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A che serve la scuola? Non sono in tanti a porsi questa domanda, ma quando se la pongono spesso in molti si danno la stessa risposta: « serve a dare l’impressione che tutti possono studiare, migliorare, o addirittura arrivare a comandare ».

Insomma, in altre parole, « la scuola serve a convincerti che la colpa [della condizione dei lavoratori, NdR] non è dei padroni che ti sfruttano, ma dei figli dei proletari che non studiano, sono svogliati, oppure poco intelligenti » [1].

La scuola serve per infondere divisione tra i lavoratori

In verità, la scuola serve a ben altro: « serve a dividere tra loro i proletari; chi studia lo fa per migliorare, così finisce che trova perfettamente giusto che i padroni trattino diversamente gli impiegati dagli operai, che ci siano operai di prima e operai di terza, che chi non ha studiato sia condannato alla disoccupazione, al sottosalario, a qualche lavoro saltuario o schifoso ».

Infatti, « da quando è nato il capitalismo, la tecnica e la scienza si sono sviluppate col solo scopo di dividere i proletari tra loro, per poterli meglio sfruttare ».

Anche i lavoratori vengono divisi dagli studenti.

« Non è casuale il fatto stesso che che lo studio e l’insegnamento siano separati dall’applicazione e dall’esecuzione, il fatto che chi lavora non studia e non migliora, ma si abbrutisce, mentre chi studia non lavora, non contribuisce al miglioramento e all’emancipazione di chi lavora ».

La Scuola serve per creare e nascondere disoccupazione

Ma « la scuola è [pure] un mezzo per creare e per nascondere al tempo stesso la disoccupazione ».

  • « Crea disoccupazione perché tutto lo sviluppo della tecnica che si studia a scuola non serve a far risparmiare fatica agli operai, a permettere loro di lavorare meno, ma serve a far risparmiare tempo e operai al padrone, a permettere di produrre di più con meno operai, e a mandare gli altri sul lastrico per usarli poi per ricattare sul posto di lavoro chi è occupato ».
  • Gli studenti « sono già veri e propri disoccupati ma si accorgono di esserlo solo a studi finiti. Quando escono, si accorgono che il lavoro che speravano di fare – maestra, perito, geometra ecc – non lo trovano assolutamente; che il titolo tutt’al più gli serve per passare avanti a qualche altro aspirante senza titolo, nelle graduatorie per un posto di lavoro che con gli studi fatti non ha nulla a che vedere ».

Poi, questi ex studenti che hanno la fortuna di diventare dei salariati, scoprono che « il lavoro è monotono, ripetitivo, insulso, quando non umiliante e faticoso ».

La Scuola serve per riprodurre le esigenze del capitalismo

Quindi, in definitiva, a che serve la scuola? « L’unica cosa che veramente si impara a scuola è il punto di vista dei padroni. Tutte le materie sono sono un metodo sistematico per privare gli studenti di ogni autonomia, di ogni capacità critica, per insegnare loro ad accettare come normali, anzi desiderabili,

  • l’oppressione,
  • lo sfruttamento,
  • e la sottomissione ».

Concetti, questi, che furono alla base di studi scientifici poi pubblicati dagli economisti statunitensi Bowles e Gintis ( “L’istruzione nel capitalismo maturo”, 1976 ) e che confermarono come « l’istruzione non è una sfera neutrale, ma un ambito nel quale vengono riprodotte le esigenze del capitalismo » e dove « le scuole esistono per riprodurre le disuguaglianze sociali » [2].

Fonti e Note:

[1] Lotta Continua, 1 novembre 1969, “Perché gli studenti?”.

Testo originale recuperato presso archivio digitale “Biblioteca Gino Bianco, Forlì”.

[2] FronteAmpio, 20 novembre 2016, “La scuola? Per Bowles e Gintis serve al controllo sociale!.

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Natale Salvo

Nato e cresciuto nella terra del “Gattopardo”, la Sicilia. Ha dedicato la propria esistenza all'impegno sociale. Allenatore di una squadretta di calcio di periferia, presidente del circolo di Legambiente, candidato sindaco per il Partito Umanista. Infine blogger d’inchiesta; ha pagato le sue denunce di cattiva amministrazione con una persecuzione per via giudiziaria. E' autore del libro "La rivoluzione copernicana chiamata Reddito di Base", edito da Multimage, Firenze.

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