Antonino Vaccarino, misteri della vita e della morte

Prima se n’è andato Francesco Di Carlo, a mio parere il collaborante più prezioso e genuino circa l’argomento Trattativa, anche perché le sue dichiarazioni furono rese scientemente senza trarne alcun interesse processuale.

Lui se l’è portato via il Coronavirus parigino, mentre il preside Vaccarino è stato eliminato [1] a Catanzaro.

Quando ero più giovane lo Stato soleva assassinare chi sapeva troppo facendolo precipitare in elicottero, e se mi leggete da tre anni sapete che ho iniziato ad esternare proprio raccontando per filo e per segno le stranezze relative ad un paio di quegli incidenti, e l’opportuna morte di qualche altro generale che aveva avuto l’ingenuità di farsi curare al Policlinico Militare del Celio.

Per il preside Vaccarino a poche ore dalla sua dipartita è già cominciato il processo di beatificazione, e viene dato per scontato che egli sia stato sempre vittima di clamorosi errori giudiziari quanto quello che portò in galera Enzo Tortora.

Io vorrei portare un po’ d’acqua al mulino di chi ha sempre nutrito riserve su di lui.

L’oscuro omicidio del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari

Partiamo dall’accusa più antica, quella secondo la quale lui commissionò l’eliminazione di Vito Lipari [2] durante un convivio tenutosi presso il migliore ristorante di pesce mazarese.

Molti anni prima che lo raccontasse Vincenzo Calcara, quando il cadavere del sindaco Lipari era ancora caldo, questa era la tesi di Pietro Noto, uno dei più grandi investigatori di mafia mai esistiti che, fra l’altro, a Castelvetrano ci viveva e ci è morto da poco, perfettamente cosciente fino all’ultimo, malgrado quel certificato di demenza senile tanto facilmente accettato dal presidente del primo processo Trattativa, quello stesso che, appena cercai di parlare di logge massoniche, mi tappò la bocca e mi ha perpetuamente screditato nella sentenza, definendo la mia testimonianza come irricevibile per essere io patologicamente affetto da “personalità istrionica“.

Noto sosteneva allora che Lipari, in procinto di entrare a Montecitorio ( era morto il deputato del collegio in cui lui risultava primo fra i non eletti ), aveva sistemato la sua successione offrendo una fetta di potere e di sottopotere a tutti, maggioranza ed opposizione, con l’unica eccezione proprio di Vaccarino, perché l’odio fra i due era antico e di irragionevole potenza.

Vaccarino, Mori e la mancata cattura di Matteo Messina Denaro

C’è poi, molti anni dopo, la sua candidatura asserita a consentire la cattura di Matteo Messina Denaro da parte della Gestapo di Mario Mori, per la quale Vaccarino era la “fonte Svetonio” [3] disponibile, esattamente come Ilardo, ad avvicinare il latitante onde consentirne l’arresto.

Per Luigi Ilardo, nel ’95 a Mezzojuso, malgrado il satellite americano collegato alla sua cintura avesse appena ricevuto l’impulso che confermava la presenza di Provenzano, Mori decise che non c’erano tutte le condizioni ottimali, e rimandò sine die l’operazione.

Peccato che, nel frattempo, proprio dalla Gestapo di Caltanissetta trapelò l’indiscrezione che quell’uomo eroico ( lo definisco proprio così, perché agiva solo per lasciare ai suoi figli “un mondo migliore” ) si riproponeva la cattura di Provenzano, ed egli venne subito ucciso. Svetonio no.

Quando per un’incomprensione fra due procure tutti seppero del suo ruolo, cosa fece MMD invece che sopprimerlo? Gli mandò solo una lettera di contumelie, nella quale invocava sulla testa del traditore la punizione di Dio.

Dai teatrini dell’antimafia di maniera ai depistaggi di Stato

Quale prova migliore, a mio giudizio, che ci trovavamo di fronte ad uno di quei consueti teatrini dell’antimafia di maniera, in cui tutto è esattamente al contrario di come si vuol fare apparire?

Probabilmente a Catanzaro i poteri forti sono ancora più forti che non a Castelvetrano, e quindi si è pensato che fosse più semplice tappare definitivamente quella bocca proprio lì, invece che agli arresti domiciliari già concessigli.

Non a caso di recente è emerso il ruolo da regista avuto da Marco Mancini [4] nella sceneggiata del falso attentato mafioso al sindaco Scopelliti, ed abbiamo appreso anche la notizia più sconcertante di tutte, quella cioè che Mancini ha un insospettabile estimatore nella persona del procuratore Nicola Gratteri, il campione di tutte voi anime belle che considerate Peppino Impastato come il fratello minore di Falcone e Borsellino.

A Castelvetrano c’è però un’altra persona ancora che dovrebbe riguardarsi, perché per lui la vedo brutta, e parlo del Questore Michele Messineo [5].

Fonti e Note:

[1] Su Agenzia AGI, il 20 maggio 2021, nell’articolo “E’ morto Vaccarino, ex sindaco infiltrato dal Sisde per trovare Messina Denaro” è scritto:

« “Questo è un omicidio di Stato”, ha detto l’avvocato Baldassare Lauria, legale dell’ex sindaco di Castelvetrano. “A breve depositeremo una denuncia per omicidio colposo nei confronti dei responsabili, perché c’è stata una violazione del diritto di protezione della salute e dell’incolumità personale”, continua il legale, difensore di Vaccarino insieme con l’avvocato Giovanna Angelo. In più occasioni i legali di Vaccarino, preoccupati dalle sue condizioni di salute, avevano chiesto il trasferimento ai domiciliari, disposto dalla corte d’Appello soltanto dopo il suo ricovero all’ospedale di Catanzaro ».

[2] Il quotidiano TP24, il 13 agosto 2020, nell’articolo “Oggi il 40° anniversario dell’omicidio del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari”, ricorda come:

« [Vito Lipari] tornato sulla poltrona di sindaco dall’ottobre 1978 all’aprile 1979, alle elezioni politiche del 3 giugno 1979 risultò primo dei non eletti alla Camera dei deputati nella lista DC nella circoscrizione Sicilia Occidentale, dove ottenne ben 46000 preferenze. Divenuto segretario provinciale della DC e nuovamente sindaco da appena un mese, venne assassinato il 13 agosto 1980, dopo essere uscito dalla sua casa di Triscina, a colpi di pistola tra cui quello di grazia alla testa. […] Nel 1992 il pentito castelvetranese Vincenzo Calcara si autoaccusò dell’omicidio di Lipari e rivelò che il mandante era l’allora consigliere comunale di Castelvetrano Antonino Vaccarino, perché “bramoso di divenire primo cittadino”, accusandolo anche di essere affiliato alla cosca di Castelvetrano, nella quale avrebbe ricoperto il ruolo di consigliere del boss Francesco Messina Denaro. Arrestato, Vaccarino fu poi assolto da quell’accusa, mentre Calcara fu ritenuto inattendibile. […] Le piste seguite per il delitto Lipari – Una conduceva ad un «segnale» (di morte) mandato dai boss di di Cosa Nostra alla “famiglia” degli esattori Salvo ai quali Lipari, esponente di punta della Dc, era «politicamente» legato. […] ».

[3] Su LiveSicilia, il 20 maggio 2021, nell’articolo “Firmato Svetonio: carteggio del mistero fra Vaccarino e Messina Denaro” :

« Su indicazione dei servizi segreti Vaccarino, alias Svetonio, ha attivato una corrispondenza epistolare con Matteo Messina Denaro, tramite il cognato del capomafia di Castelvetrano, Vincenzo Panicola. Il livello di confidenza è intimo. Vaccarino spiega che è stato incaricato di stanare il latitante, ma finisce di nuovo sotto inchiesta per mafia a Palermo ».

[4] Su Money.it, il 4 maggio 2021, nell’articolo “Chi è Marco Mancini, lo 007 filmato insieme a Matteo Renzi?”, si legge:

« Uscito indenne dal caso Abu Omar e dal procedimento Telecom grazie al segreto di Stato, di Marco Mancini adesso si è tornato a parlare dopo un servizio della popolare trasmissione di Rai Tre Report. Al centro della vicenda c’è un filmato, girato lo scorso 23 dicembre da una anonima cittadina presso un Autogrill a Fiano Romano, che riprende l’agente segreto colloquiare per quaranta minuti con Matteo Renzi ».

[5] Su Il Circolaccio, il 13 dicembre 2017, nell’articolo “Fra stragi e falsi pentiti. La strana storia del vicequestore Michele Messineo”, si ricorda

« la vicenda dell’anfora, che si vuole sia stata trafugata dall’allora capomafia di Trapani, Francesco Messina Denaro, e che sarebbe poi finita nel salotto del vicequestore Messineo, è stata narrata dal pentito Pietro Scavuzzo, che non ha esitato nel dipingere Messineo come un uomo contiguo alle cosche mafiose […] A smentire l’attendibilità dei collaboratori che accusavano Messineo, furono una raffica di sentenze ».

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