Carceri: subito un indulto, e poi nuove strutture e personale

Il problema delle carceri non è solo una questione di gestione, ma di strutture inadeguate e condizioni disumane. Gli edifici che ospitano i detenuti sono spesso fatiscenti e sovraffollati, negando loro anche la più basilare dignità. Secondo l’Associazione Antigone, «le dimensioni e le condizioni di quegli spazi non rispettano i criteri basici di dignità». Questo dimostra quanto sia urgente costruire carceri adeguate, con spazi sufficienti e privacy per i detenuti [1].
Un altro problema gravissimo è la convivenza forzata tra persone con storie criminali molto diverse. Un giovane condannato per un reato minore non dovrebbe condividere la cella con un assassino. Per questo motivo, esperti suggeriscono di riorganizzare gli istituti dividendo i detenuti in base all’età e non solo al reato commesso: «La ripartizione dei detenuti, ovvero della riorganizzazione degli istituti, differenziando gli stessi in base, principalmente, all’età, e non solo in base al reato commesso» [2]. Questa suddivisione potrebbe favorire la rieducazione e limitare l’influenza negativa dei criminali più pericolosi su coloro che potrebbero ancora cambiare vita.
Ma il vero punto centrale è il lavoro. Avere un’occupazione, dentro e fuori dal carcere, è la chiave per evitare che i detenuti tornino a delinquere. Oggi, però, le opportunità sono pochissime e assegnate con criteri che lasciano fuori molti di quelli che ne avrebbero più bisogno.
«Per lo svolgimento dei lavori che non richiedono competenze specifiche i detenuti vengono selezionati tenendo conto della durata della pena, dei figli a carico e della condizione economica» [3]. Questo sistema è insufficiente. Bisogna creare più possibilità di lavoro in carcere, con laboratori interni e collaborazioni con aziende esterne, anche in modalità remota. Solo così si potrà dare ai detenuti una vera opportunità di reinserimento.
Anche la sorveglianza deve cambiare. Il modello attuale, basato sul controllo oppressivo, non funziona. Serve una presenza meno intrusiva delle guardie, affiancata invece da educatori e psicologi capaci di supportare i detenuti.
La circolare del Capo del DAP
Già nel 2011, l’ex magistrato Franco Ionta, all’epoca capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, ammoniva: «Prendere le distanze da ogni riduttivo richiamo ad una funzione meramente segregatrice dell’istituzione carceraria, chiamata, per mandato costituzionale, all’assiduo e costruttivo impegno di “mantenere nelle migliori condizioni” i soggetti privati della libertà personale ed assegnati ai vari istituti penitenziari» [4]. Nonostante queste parole, la realtà è rimasta invariata.
«Il predetto obiettivo impone altresì un ammodernamento strutturale ed impiantistico dei luoghi di detenzione che possa garantire dignitose condizioni di vita intramurale» [4].
Franco Ionta, non è certo un santo, da magistrato ha fatto condannare un innocente (il somalo Hashi Omar Hassan rilasciato dopo 17 anni di ingiusta detenzione e risarcito con oltre 3 milioni di euro dallo Stato Italiano), e da capo del DAP affermò pure la normalità di una «“soglia fisiologica” della detenzione in Italia: 70-80mila detenuti, circa 140 ogni 100mila abitanti» [5].
Tuttavia le affermazioni riportate nella circolare del 2011 restano considerevoli.
La condizione del carcere e dei detenuti è una scelta politica
Ma questo non dipendeva da lui, bensì da precise scelte politiche su come usare le risorse dello Stato. Ionta sosteneva anche che bisognasse superare il concetto di “sorveglianza” per arrivare a quello di “sostegno”. Un’idea giusta, ma irrealizzabile senza un numero adeguato di educatori e personale medico-psichiatrico.
Per risolvere il problema del sovraffollamento e migliorare immediatamente la situazione, un passo fondamentale è un indulto che liberi le carceri dalle troppe persone detenute per reati minori. A questo deve seguire un massiccio investimento per creare strutture carcerarie più umane, offrire lavoro ai detenuti e garantire un trattamento che favorisca il reinserimento, anziché distruggere ogni possibilità di cambiamento.
Com’è noto, l’indulto è un provvedimento di clemenza generale che estingue, in tutto o in parte, la pena inflitta, senza cancellare il reato. In Italia, per concedere l’indulto è necessaria una legge approvata con la maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera. L’ultimo indulto in Italia risale al 2006. Questo provvedimento prevedeva una riduzione della pena di tre anni per specifici reati, escludendo quelli di maggiore gravità. In poche settimane dall’approvazione della legge, 23.000 detenuti uscirono dal carcere ( i detenuti sceso da 61.000 a 39.000 circa ). Tuttavia, come spiega un operatore del settore, «senza riforme del sistema penale e penitenziario, il ritorno al sovraffollamento è stato inevitabile, con un ritmo di crescita rapido già nei mesi successivi alla scarcerazione di massa» [6].
Serve una forte pressione da parte dei cittadini. Chi pensa che la soluzione sia “chiuderli e buttare via la chiave” si sbaglia. Una società che tratta i suoi prigionieri come animali crea solo criminali più arrabbiati e pericolosi. Se vogliamo sicurezza vera, dobbiamo chiedere ai politici riforme radicali, anche se costose. La dignità umana e la giustizia non hanno prezzo.
Unisciti alla conversazione …
Hai idee o esperienze da condividere su questo argomento? Il tuo punto di vista è unico e importante. Condividilo nell’area commenti più giù e aiutaci a vedere le cose da una nuova angolazione.
—
Fonti e Note:
[1] Antigone [PDF], Alice Franchina e Claudio Paterniti Martello, “XIV rapporto sulle condizioni di detenzione – Spazi e diritti nelle carceri italiane”.
[2] Giustizia Penale, 15 marzo 2019, Giulia Perrone, “Osservazione e trattamento rieducativo: qual è la vera causa della recidiva?”.
[3] Antigone [PDF], Simona Materia, “XIV rapporto sulle condizioni di detenzione – Il lavoro che manca, viaggio nelle prigioni disoccupate”.
[4] Ministero della Giustizia, J-GDAP-1a00-24/11/2011-0445330-2011, “Modalità di esecuzione della pena. Un nuovo modello di trattamento che comprenda sicurezza, accoglienza e rieducazione”.
[5] Antigone, Stefano Anastasia, “Alternative al carcere, iniziamo dai tossicodipendenti”.
[6] Polizia Penitenziaria, Giovan Battista De Blasis, “Amnistia e Indulto: i provvedimenti di clemenza previsti dall’ordinamento giudiziario italiano”.
Commenti più recenti