Carne & Capitale: Il prezzo nascosto del consumo di carne
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«Nel mondo si potrebbero contare in ogni momento oltre venti miliardi di polli, tre per ogni essere umano. Lo sviluppo capitalistico ha reso il noto volatile la singola più importante fonte di proteine» [1].
Il capitalismo contemporaneo ha promosso la diffusione degli allevamenti intensivi, un sistema che persegue il massimo profitto abbattendo i costi di produzione. Ma a quale prezzo? Questo modello insostenibile devasta l’ambiente, minaccia la salute pubblica e perpetua sofferenze indicibili sugli animali, sollevando questioni etiche che l’antispecismo non può ignorare.
Gli animali d’allevamento vengono trattati come meri ingranaggi di una catena produttiva: «L’industria che lo ha trasformato accorcia il ciclo economico: in poche settimane nasce, ingrassa ed è confezionato sfamando milioni di consumatori» [1]. Ma ciò che appare come un miracolo dell’efficienza produttiva è, in realtà, un sistema crudele e distruttivo.
Impatto ambientale degli allevamenti intensivi
Per comprendere l’enorme impatto ambientale, basti pensare che «Per produrre un chilo di carne bianca servono 2 kg di mangime. L’industria trasforma il mangime in carne. Oltre metà del mais mondiale e l’85% della soia è consumato dall’industria della produzione dei mangimi animali» [1]. Un’enorme quantità di risorse sottratte alla produzione alimentare umana e destinate all’ingrasso forzato di animali prigionieri.
Le conseguenze sono devastanti: inquinamento dell’aria, delle acque e del suolo. Greenpeace [2] denuncia come gli allevamenti intensivi siano responsabili di massicce emissioni di ammoniaca e polveri sottili, oltre a contaminare falde acquifere e terreni. E, paradossalmente, l’Europa continua a foraggiare questo sistema con enormi sovvenzioni: «L’attuale sistema zootecnico intensivo si regge su ingenti finanziamenti pubblici: circa due terzi dei finanziamenti per l’agricoltura in Europa sono destinati al sistema degli allevamenti intensivi, mangimistica inclusa».
Mentre i cittadini vengono chiamati a fare sacrifici in nome della lotta al cambiamento climatico, gli allevamenti intensivi – tra i principali responsabili dell’emergenza ambientale – continuano a ricevere miliardi di euro di fondi pubblici. Un paradosso ipocrita che va smascherato.
L’industria alimentare, intanto, manipola i consumatori con campagne pubblicitarie mirate. Lotta Comunista denuncia: «Tra gli scaffali altamente industrializzati dell’Occidente è diventata una vera fissazione voltare la confezione per consultare l’etichetta, professare consapevolezza o millantare conoscenza». Un’illusione di controllo, mentre le grandi multinazionali condizionano le scelte alimentari e il mercato.
L’idea del “chilometro zero” è spesso una mistificazione: il sistema produttivo globale resta dominato da enormi conglomerati che decidono quali colture privilegiare, quali risorse sfruttare, e a chi destinare il cibo. Lotta Comunista osserva con amarezza: «Molto spesso non basterebbe un libro per illustrare veramente la genesi sociale mondiale anche dei prodotti alimentari più ordinari, dall’origine dei fertilizzanti agli antibiotici, dalle sementi alle varietà animali, dai macchinari agricoli agli impianti di trattamento, consumando petrolio, elettricità e una mole non indifferente di lavoro salariato davvero cosmopolita».
Un altro aspetto spesso ignorato è l’uso di cereali importati, come mais e soia, per nutrire il bestiame. La coltivazione di queste materie prime richiede enormi quantità di pesticidi e fertilizzanti chimici, con effetti disastrosi sulla qualità del suolo e delle acque. Inoltre, per far posto a coltivazioni intensive, si abbattono foreste, contribuendo alla perdita di biodiversità e all’aumento delle emissioni di gas serra.
Costi sanitari legati al consumo eccessivo di carne
Gli allevamenti intensivi sono il simbolo dello spreco, dell’inquinamento e della rovina sanitaria. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) [3] è chiara: il consumo di carne, soprattutto quella rossa e lavorata, è legato a un incremento del rischio di malattie mortali. Le carni lavorate (insaccati e salumi) sono classificate come «sicuramente cancerogene» (Gruppo 1), mentre le carni rosse sono considerate «probabilmente cancerogene» (Gruppo 2A), con una correlazione diretta con il cancro del colon-retto.
Eppure, i consumi restano altissimi. «Secondo l’Osservatorio permanente sul Consumo Carni, il consumo medio annuo in Italia di carne (pollo, suino, bovino, ovino) è pari a 79 chilogrammi pro-capite» [4], contro i 21 chilogrammi del 1960. Questo significa che oggi ogni italiano consuma ogni giorno una quantità di carne quattro volte superiore a quella consigliata dalla IARC.
I costi sanitari di questa abitudine alimentare sono enormi. Il nutrizionista Gabriele Bernardini, citando uno studio della LAV, sottolinea che «ogni consumo di 100g di carne lavorata che un italiano fa, ci costa più di 2 euro (a cui si aggiungono 35 centesimi per la carne rossa fresca)» [5]. Questi costi si traducono in spese sanitarie, cure mediche e assenze dal lavoro dovute a patologie direttamente correlate al consumo di carne.
E il grande capitale, fattura
Incuranti di queste riflessioni, le grandi aziende del settore nel frattempo fatturano miliardi. Ad esempio, L’Agricola – AIA, parte del Gruppo Veronesi, specializzata nella produzione e distribuzione di carne e mangimi, ha registrato un fatturato di 4,2 miliardi di euro nel 2022. A livello globale, multinazionali come JBS, Tyson Foods e Cargill guidano il mercato della produzione di carne e derivati, mentre grandi multinazionali come BASF SE, Dow Chemical Company e SABIC, che registrano fatturati annuali nell’ordine di decine di miliardi di dollari, dominano il mercato globale dei fertilizzanti. Ad esempio, BASF SE, con sede in Germania, è il più grande produttore chimico al mondo, con un fatturato annuo di 87,3 miliardi di dollari nel 2022.
Considerazioni etiche e antispecismo
Infine, la questione etica: il massacro di miliardi di animali per un consumo non necessario è una ferita aperta nella coscienza collettiva. L’antispecismo denuncia: «L’essere umano non può disporre della vita e della libertà di esseri appartenenti a un’altra specie» [6].
La situazione peggiorerà? Sì. Secondo la FAO, nei prossimi dieci anni il consumo globale di carne aumenterà ancora: +15% per il pollame, +11% per la carne suina, +10% per quella bovina, +15% per l’ovino [4].
Serve una presa di coscienza. Serve un cambiamento radicale. Adottare una dieta vegetariana o vegana non è solo una scelta personale: è una dichiarazione di resistenza contro un sistema che devasta il pianeta, mette in pericolo la nostra salute e condanna miliardi di animali a una vita di sofferenza. Il tempo per voltarsi dall’altra parte è finito.
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Fonti e Note:
[1] Lotta Comunista, n. 569 gennaio 2018, pag. 10, Piero Nardini, “Polli, maiali, mangimi dei giganti dell’agricoltura”.
[2] Greenpeace, 1 marzo 2024, “Gli allevamenti intensivi in Italia: il costo nascosto che pagano l’ambiente e la nostra salute”.
[3] IARC, 7 gennaio 2019, “Le carni rosse fanno venire il cancro?”.
«Gli esperti hanno stabilito che il 18-21 per cento dei tumori al colon, e il 3 per cento di tutti i tumori, sono probabilmente legati al consumo di carni rosse e insaccati. Il fumo di sigaretta, tanto per dare un parametro di confronto, è responsabile dell’86 per cento dei tumori al polmone e del 19 per cento di tutti i tumori, secondo i dati della charity Cancer Research UK. L’agenzia britannica ha anche stimato che se tutti gli abitanti della Gran Bretagna smettessero di fumare, ci sarebbero 64.500 casi in meno di cancro l’anno, mentre se tutti diventassero vegetariani ci sarebbero 8.800 casi in meno l’anno. Un documento pubblicato nel 2017 dal World Cancer Research Fund sul rischio di tumore colorettale ha stimato che un consumo elevato di carni rosse lavorate (50 grammi al giorno) aumenta del 16 per cento il rischio di ammalarsi di questa neoplasia».
[4] AgriUmbria, 6 aprile 2024, “Agriumbria polo italiano carni. i dati sul consumo”.
[5] Gabriele Bernardini, 14 agosto 2024, “Il costo per la salute e per la società del consumo di carne in Italia”. Lo studio di Demetra è qui consultabile.
[6] Anarcopedia, “Antispecismo”.
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