ChatControl: il parere del Garante Europeo Privacy
Certo è che Wojciech Wiewiorowski, il Garante Europeo per la protezione dei dati personali, ha dovuto usare il massimo dell’equilibrismo nel suo parere del 10 novembre 2020 [1] sul Regolamento EU diffusamente rinominato #ChatControl.
Avrebbe potuto chiudere la raccomandazione dopo aver scritto che « le misure previste dalla proposta costituirebbero un’ingerenza nei diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati di tutti gli utenti di servizi di comunicazione elettronica molto diffusi, come le piattaforme e le applicazioni di messaggistica istantanea ».
E, magari, dopo aver aggiunto che « la deroga rischia di compromettere la certezza del diritto » e che, « se adottata, la proposta costituirà inevitabilmente un precedente per la futura legislazione in questo campo ».
Invece Wiewiorowski si è poi sforzato di non dispiacere troppo ai padroni statunitensi e mitigato il suo negativo parere ammettendo la procedura #ChatControl ma a condizione che si assicurino « tutte le necessarie garanzie […] che i dati siano efficacemente protetti dal rischio di abuso ».
ChatControl sana gli illegali filtri di GMAIL di Google?
Intanto, a titolo di “garanzia”, il Garante Europeo per la protezione dei dati personali ha suggerito « che la validità di qualsiasi misura transitoria [che violi i Diritti alla Privacy dei cittadini europei, NdR] non dovrebbe superare i due anni ».
In verità questa violazione avviene già, ad opera dei alcuni operatori statunitensi ( vedi Google ), già oggi, con misure che Wiewiorowski ipocritamente definisce « volontarie » ma che, a onor di diritto, vanno definite col termine più corretto: senza base legale, quindi illegali.
Chi non si è reso conto che Gmail “legge” la nostra corrispondenza già mentre la scriviamo – vedi il caso, ad esempio, dopo che digiti la parola “allegato” senza che ancora l’ha aggiunto -?
Ma chi riesce a vivere senza Google?
Con ChatControl, a rischio gli oppositori politici al regime EU
Eppure il “Garante” è certo che « la riservatezza delle comunicazioni è una pietra angolare dei diritti fondamentali al rispetto della vita privata e familiare e alla protezione dei dati personali ».
E, ancora, che « le misure da parte di aziende private costituiscono un’ingerenza in tali diritti quando le misure comportano il monitoraggio e l’analisi del contenuto delle comunicazioni e il trattamento dei dati personali ».
E quindi cosa scriviamo, o cosa condividiamo con un messaggio, un informazione sulla nostra salute e sui nostri orientamenti sessuali, l’espressione di una idea politica o religiosa, non è un dato personale e pure sensibile?
Quindi perché tirarla per le lunghe se, come scrive Wojciech Wiewiorowski nel suo parere del 10 novembre 2020, « le limitazioni alla riservatezza delle comunicazioni non possono essere giustificate semplicemente sulla base del fatto che alcune misure erano state precedentemente adottate quando i servizi in questione non lo facevano, da un punto di vista legale »?
Perché quindi non bocciare del tutto la proposta di Regolamento dell’Unione Europea volta a controllare ogni parola scritta o pronunciata e ogni immagine, da noi inviata e ricevuta?
La deroga riguarderebbe qualunque servizio di comunicazione interpersonale: « ad esempio servizi voce su IP, messaggistica e posta elettronica basati sul web », comprende bene il “Garante”.
Ma sarebbe, a suo parere, ammissibile “solo” per le esigenze di « rimuovere materiale pedopornografico e di individuare o denunciare abusi sessuali su minori online alle autorità di contrasto ».
Ma, è chiaro a tutti, che per giungere a ciò servirà una generalizzata « analisi automatizzata di discorsi o testi allo scopo di identificare potenziali casi di adescamento di minori ».
Leggere cosa un soggetto scrive, o ascoltare un suo audio, ammette il Garante per la Privacy europeo, « costituisce probabilmente un’interferenza più significativa rispetto all’abbinamento di immagini o video ».
Il costo della “rete a strascico” su tutti i cittadini europeo, adulti e minori, quindi, potrebbe non essere “proporzionata” ai “benefici”: scaturirebbero migliaia, forse centinaia di migliaia di denunce penali errate.
Si potrebbe, insomma, di denunciare alle Autorità solo cittadini che rappresentino « elementi concreti di sospetto », valutando « indicatori chiave, come parole chiave e obiettivi fattori di rischio identificati come la differenza di età ». Ma come individuarli se le schede dei minori sono spesso, se non sempre, intestate ai familiari adulti?
Salvo che, ovvio, l’obiettivo non è la difesa dei minori dall’adescamento ma la sorveglianza totale dei cittadini, la loro profilazione secondo le idee politiche, il loro giudizio sul regime al potere …
… in questo caso saremmo in pieno orwelliano 1984, sotto il potere del “Grande Fratello”!
—
Fonti e Note:
[1] Unione Europea – European Data Protection Board, “Raccomandazioni 2/2020 relative alle garanzie essenziali europee per le misure di sorveglianza”.
Commenti più recenti