Ergastolo, Umberto Santino: tendere alla rieducazione
Da settimane, almeno da quando all’anarchico Alfredo Cospito, che pur non ha ucciso nessuno, sono stati assegnati gli stessi trattamenti previsti per i capi mafiosi, nelle piazze e sui media alternativi si parla:
- di ergastolo “ostativo”;
- e del trattamento penitenziario del 41 bis.
Tra questi media alternativi, si segnala Pressenza che è andata ad intervistare Umberto Santino [1], fondatore del Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, studioso da sempre del fenomeno mafioso.
Ergastolo ostativo e 41bis: le ragioni della legge
Spiega Umberto Santino: « nell’ordinamento penitenziario,
- il 41 bis, che prevede il carcere duro, è stato introdotto nel 1986,
- e il 4 bis, che prevede l’ergastolo ostativo, nel 1991;
nascono sulla base della considerazione della mafia come organizzazione strutturata, permanente, i cui affiliati prestano un giuramento di sangue all’interno di un rito di affiliazione con forti connotati simbolici, una forma di battesimo o di ordinazione sacerdotale, per cui si è mafiosi per sempre, tranne nel caso della collaborazione con la giustizia o dell’espulsione (nel gergo mafioso gli espulsi sono definiti “posati” ). Quindi c’è una pericolosità non episodica ma permanente ».
Ergastolo ostativo e 41bis: le contraddizioni
Però ci sono delle chiare contraddizioni, ammette Santino:
- « si hanno casi di mafiosi condannati all’ergastolo ostativo, che tutto lascia pensare che siano diventati un’altra persona: studiano, si laureano, scrivono libri non apologetici (come Giuseppe Grassonelli, coautore con Carmelo Sardo del libro Malerba) ma poiché ritengono una delazione denunciare i delitti di altri, non godono di nessun beneficio,
- mentre un personaggio come Giovanni Brusca, stragista e autore di delitti imperdonabili, come il sequestro e l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, in combutta con Messina Denaro, che credo sia un pentito in base a un calcolo costi-benefici, è a libertà vigilata ».
Ciò dimostra che la prima tesi, quella della « pericolosità non episodica ma permanente », potrebbe essere destituita di fondamento.
« Il problema è che la pena detentiva dovrebbe “tendere alla rieducazione del condannato” (art. 27 della Costituzione) ma questo non accade non solo per i mafiosi ma per tutti i detenuti. E’ uno dei tanti articoli rimasti sulla carta della nostra Costituzione, che non è “la più bella del mondo” ma la più disapplicata », conclude Umberto Santino.
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Fonti e Note:
[1] Pressenza, 20 gennaio 2023, Daniela Musumeci, “Lo stato dell’arte della lotta antimafia. Intervista al sociologo Umberto Santino”.
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