Foggia 1905: lo Stato spara sui ferrovieri

Il 18 aprile 1905, Foggia fu teatro di una brutale repressione contro i lavoratori in sciopero: «Il sindacato dei ferrovieri italiani era in piena agitazione. Il motivo principale era il mancato accoglimento, da parte del Governo, della richiesta di passaggio alla scadenza del 30 giugno 1905 delle Ferrovie dall’industria privata allo Stato», ricorda Ettore Braglia [1].
La risposta dello Stato fu di una violenza inaudita, impiegando carabinieri ed esercito contro la popolazione civile.
Le condizioni di lavoro erano insostenibili. Lo storico Braglia sintetizza i fatti: «Le Ferrovie, in gran parte di proprietà dello Stato, nel 1885, con speciali convenzioni, erano state cedute in gestione, per venti anni, a tre grandi Società industriali, l’Adriatica, la Mediterranea e la Sicula, che ne avevano fatte oggetto del più esoso sfruttamento, tale da irritare sia il pubblico che il personale dipendente. I ferrovieri, sfiniti da stipendi da fame e dagli sfibranti orari di lavoro; non garantiti nella sicurezza sugli infortuni di lavoro da alcun regolamento organico, né da una legge sugli infortuni, erano ormai stanchi di soffrire» [1].
«Il braccio di ferro fra Governo e ferrovieri durava già da un po’ di tempo», precisa Alberto Mangano sul proprio blog [2].
Salvatore Agostino Aiezza arricchisce la vicenda di un dettaglio significativo: «Il piemontese Carlo Ferraris, Ministro per i lavori pubblici, il 7 aprile del 1905 presentò un progetto di legge per la “nazionalizzazione della rete ferroviaria” che conteneva però anche una norma che equiparava i ferrovieri ai dipendenti dello Stato e imponeva loro il divieto di sciopero. Questa disposizione causò una reazione talmente forte dei ferrovieri che fu certa concausa delle dimissioni del governo Giolitti il 12 marzo del 1905» [3]. In buona sostanza, secondo la proposta del ministro Ferraris, i lavoratori che «abbandonavano l’opera propria in modo da interrompere o perturbare la continuità e regolarità del servizio erano considerati dimissionari e quindi surrogati» [4].
Allora, il sindacato proclamò lo sciopero generale in tutta Italia.
Verso la tragedia: la folla sfida la repressione
A Foggia, la tensione esplose. Ettore Braglia condivide la preparazione della sfida del popolo contro lo Stato. «I contadini aderendo all’ordine ricevuto [dalla Camera del Lavoro, insomma dal sindacato, N.d.R], abbandonarono i campi e vennero in città per la formazione delle squadre di vigilanza, aventi il compito di sorvegliare le vie d’accesso alla stazione ferroviaria per impedire ai krumiri di recarsi al lavoro».
Quel 18 aprile, «già alle 5,30 del mattino, una massa di circa 500 ferrovieri e di altrettanti curiosi, si era radunata innanzi ai cancelli della stazione» [2].
«Per il servizio d’ordine la polizia era stata rinforzata dall’Esercito, e in quella occasione lo spiegamento della forza pubblica fu addirittura imponente per l’uscita dalla Caserma dei Cappuccini di un intero squadrone di Cavalleria» [1], segno che la repressione era premeditata.
«L’affiancamento [tra manifestanti e forze di repressione dello Stato, N.d.R.] doveva per forza presagire l’urto», avverte Braglia.
Dalla protesta al massacro: Foggia sotto assedio
La violenza scoppiò all’improvviso. «I carabinieri sciabolarono la folla e ferirono una persona. Volò qualche sasso e pare che dalla folla sia partito un colpo di rivoltella che ferì un soldato ad una gamba». Questo bastò a scatenare l’inferno: «All’improvviso, senza alcun preavviso di squillo di tromba, senza invito ad allontanarsi e pare anche senza il comando di far fuoco, i carabinieri e la cavalleria, parte rivolti verso la stazione, parte verso la città, aprirono il fuoco» [2]. I manifestanti cercarono di fuggire, ma furono colpiti alle spalle.
I militari non si limitarono a disperdere la folla: spararono con ferocia su uomini, donne e perfino ragazzi.
Il racconto di Alberto Mangano è denso di dettagli ripugnanti: «La cavalleria, schierata di fronte alla Villa comunale, avanzò, e un cavalleggero, disarcionato dal proprio cavallo che si era impennato, cadde, risalì in sella, puntò il fucile e fece fuoco ferendo una donna. Due carabinieri, uno all’angolo dello stabilimento Rocco e La Capria, l’altro al riparo del Politeama, vicino ai giardini comunali, incominciarono a sparare all’impazzata. Il primo crivellò di colpi il palazzo Vaccarella, poi colpì a morte tale Gaetano Pinto, barbiere, che trovavasi sul marciapiede del palazzo e ferì gravemente il calzolaio Occhiochiuso Giovanni. L’altro carabiniere ferì gravemente una donna con tre colpi di moschetto, uno al braccio e due alla schiena, uno studente della scuola professionale, tale dario Fares colpito alla gola, ed altri fra cui un ragazzo» [2].
La carneficina continua: «Nel frattempo da un cordone di soldati schierati all’imbocco del viale della stazione partirono dei colpi, e un proiettile ferì la cameriera del Sig. Siniscalchi la quale si era affacciata ad un balcone del palazzo Vaccarella. Altri carabinieri spararono nella direzione di Corso Vittorio Emanuele ferendo altra gente fra cui il pizzicagnolo Francesco Conte colpito di striscio al capo dall’indietro in avanti, e Foglio Vincenzo, sarto, con un proiettile che dalla spalla fuoriuscì davanti perforandogli il polmone» [2].
«Come si vede si spara con determinazione ed intenzione, ad altezza d’uomo, in posti vitali, molti vengono colpiti alle spalle poiché stavano fuggendo in cerca di riparo». «Il terrore invase tutti, i feriti continuarono a lamentarsi per terra. La notizia si diffuse in città, ma i militari continuarono a sparare». La truppa avanzò, ferendo più d’uno al capo, mostrando una efferata e inspiegabile sete di sangue.
La strage di Foggia: un bilancio pesante, ma i ferrovieri vinsero la battaglia
«Gli scontri andarono avanti sino al tardo pomeriggio e, alla fine, si contarono tre morti, secondo alcune fonti (altre parlano di cinque o, addirittura, sette)», rivela ancora il Braglia. Si contarono anche una dozzina di feriti e quattro manifestanti arrestati.
Nel sul libro, “Militarismo e Anti-Militarismo”, Karl Liebknecht scriverà di 7 morti e 20 feriti.
Comunque sia, la resistenza, la tenacia e i sacrifici del movimento operaio ebbero di lì a poco la giusta ricompensa, perché il 22 Aprile 1905, sotto il Governo Fortis, fu approvata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 95 la Legge n. 137 che sanciva dal 1° Luglio dello stesso anno, il passaggio delle ferrovie allo Stato.
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Fonti e Note:
[1] Foggia Reporter, 18 aprile 2019, Ettore Braglia Cultore di storia locale, “18 aprile 1905, a Foggia la rivolta dei ferrovieri”.
[ 2 ] Mangano Foggia, Alberto Mangano, “18 Aprile 1905 – L’eccidio di Foggia”.
[3] Stato Quotidiano, 28 aprile 2016, Salvatore Agostino Aiezza, “Il 1° Maggio: le lotte operaie e l’eccidio di Foggia”.
[4] Storiologia, “Anni 1905-1906 – Fortis e Sonnino – Tensioni Austria – Moti nel Sud”.

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