I Diritti Umani? A volte esistono. Norme e deroghe.
A volte in tivù si sente il termine “Diritti Umani”, spesso associato con “violazione” e il riferimento ad un lontano Paese non “occidentale” quale, ad esempio, l’Iran, oppure la Cina, etc.
Nel mondo “Occidentale”, quello guidato dall’organizzazione militare NATO per intenderci, di “Diritti Umani” non si parla; forse perché assodato che qui vengano rispettati.
Eppure – se esiste la necessità, anche in Occidente, di agenzie di stampa sui Diritti Umani, di organizzazioni per la difesa dei “Diritti Umani” – forse non è proprio così.
D’altro canto non c’è neanche un univoco pensiero giuridico, in Europa, in Italia, su cosa siano i “Diritti Umani” e, persino, latitano strumenti di difesa per presunti diritti violati.
C’è quindi chi, nel mondo giuridico, la “matrice giusnaturalistica”, ritiene che i Diritti Umani siano « diritti inalienabili dell’uomo, ossia i diritti che devono essere riconosciuti ad ogni persona per il solo fatto di appartenere al genere umano, indipendentemente dalle origini, appartenenze o luoghi ove la persona stessa si trova » [1]. Altri che, invece, credono siano dei semplici « diritti soggettivi concepiti in capo agli individui dallo Stato quale esercizio della sua sovranità ». E come tali, al bisogno, limitabili, sospendibili, o annullabili.
A partire dalla non vincolante “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo” (1948) fino ai “Patto sui diritti civili e politici” e “Patto sui diritti economici, sociali e culturali” (1966) anche attraverso la “Convenzione europea sui diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” (1950) sono diversi le fonti di enunciazione dei “Diritti Umani”, tanto di quelli civili, quanto di quelli politici e sociali.
Sui “Diritti Civili” però esiste un primo limite: purché l’agire dell’individuo « non violi i diritti civili degli altri soggetti ».
I Diritti Umani, « se violati, determinerebbero un’offesa alla stessa essenza umana » [1].
Ma il limite decisivo è stabilito dal fatto che « la tutela dei Diritti Umani è, in primis, affidata ai singoli Stati », ovvero alla parte che spesso è proprio quella che viola, limita o revocare, i “Diritti Civili”.
D’altro canto contro le eventuali violazioni, a parte improbabili petizioni agli stessi politici, l’unica forma di contestazione giuridica in Europa è affidata alla Corte Europea per i Diritti Umani al cui ricorso è spesso possibile giungere solo dopo aver svolto tutti i lunghi passi presso le Corti nazionali.
Ma quali sarebbero in definitiva questi “Diritti Umani”?
Cosa prevede la Convenzione europea sui diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
Esaminiamo, rapidamente, in proposito, la “Convenzione europea sui diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” (1950).
Certamente il “Diritto alla vita” (art. 2).
Ma la vita può essere tolta per “legittima difesa”, e anche nel tentativo di eseguire “un arresto regolare” o impedire una “evasione” di un detenuto, o, infine, per “reprimere una sommossa o un’insurrezione”.
Nessuno può essere sottoposto a “tortura” (art. 3).
Poi però ci sono governi che vogliono abolire il “reato di tortura” piuttosto che la tortura stessa.
Nessuno può essere sottoposto a “schiavitù” o a “lavoro forzato” (art. 4).
Ma il “servizio militare” rappresenta un’eccezione; il cittadino può essere costretto a svolgerlo.-
Abbiamo diritto alla Giustizia (art. 6): “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale”.
C’è poi il diritto al “rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza” (art. 8).
Ma sempre salvo motivi di “sicurezza nazionale, pubblica sicurezza”.
L’art. 9 della Convenzione, poi, tutela il diritto “Libertà di pensiero, di coscienza e di religione”.
Ma anche questo diritto ammette restrizioni purché “stabilite dalla legge” dello Stato e sempre connesse “alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute e della morale pubblica”.
Si dirà che almeno manteniamo una piena “Libertà di espressione” (art. 10).
“Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”, riporta il testo.
Eppure anche questa è limitata, tra l’altro, dalla “difesa dell’ordine”. E sappiamo che è stata ampiamente violata in Europa con la censura sulle emittenti giornalistiche filo-russe quali RT e Sputnik.
Abbiamo, ancora, in teoria, il diritto alla “Libertà di riunione e di associazione” (art. 11).
Ma salvo “le restrizioni legittime siano imposte all’esercizio di tali diritti da parte dei membri delle forze armate, della polizia o dell’amministrazione dello Stato”.
Abbiamo pure “Diritto al matrimonio” (art. 12).
Tuttavia, tale diritto non appartiene alle coppie LGBTQIA+ e alle “unioni civili”: “l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia”, esplicita il testo!
Abbiamo quindi diritto a non essere discriminati; in particolare a non subire discriminazioni “fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita”.
Tutto qua la “Convenzione europea sui diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” (1950).
Tuttavia, per completezza, occorre ricordare le deroghe previste dall’art. 15 della Convenzione.
“In caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, ogni Alta Parte contraente può adottare delle misure in deroga agli obblighi previsti dalla presente Convenzione”.
Non c’è emergenza che tenga sull’art. 2, il “diritto alla vita” salvo i “legittimi atti di guerra” (!). In quel caso non c’è diritto che tenga; la vita la si può “legittimamente” togliere.
Unico obbligo per gli Stati, spesso disatteso, in questi casi di “emergenza” è che gli stessi Stati informi della decorrenza della deroga e dei motivi “il Segretario generale del Consiglio d’Europa”.
Il ricorso alla Corte di Giustizia Europea (CEDU) è ammesso solo dopo che siano state esaurite le forme di ricorso nazionali e, comunque, entro e non oltre sei mesi dal giorno della decisione definitiva assunta dall’autorità nazionale, a meno che non si tratti di denuncia per eccessiva durata della procedura. Ecco il link al sito della Corte ove illustra le modalità di ricorso.
Non dobbiamo dimenticare, però, i due “Patti” all’inizio citati.
Cosa prevede il Patto internazionale sui diritti civili e politici
Nel “Patto internazionale sui diritti civili e politici” (1966), si stabilisce per “Tutti i popoli”, “il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico” (art. 1).
Tuttavia non si precisa cosa si intenda col termine “Popoli” e se esso sia necessariamente sinonimo di “Nazioni”.
Il Patto poi continua garantendo “parità giuridica” agli uomini e alle donne (art. 3), limitando “una sentenza capitale … soltanto per i delitti più gravi” (art. 6), ed assicurando che “nessuno può essere sottoposto, senza il suo libero consenso, ad un esperimento medico o scientifico” (art. 7).
A rafforzarre tale ultima indicazione esiste la “Convenzione di Oviedo”, e, in generale la normativa sul “Consenso Informato”.
L’art. 10 del Patto, quindi, intima che “il regime penitenziario deve comportare un trattamento dei detenuti che abbia per fine essenziale il loro ravvedimento e la loro riabilitazione sociale”. L’art. 14 prevede l’indennizzo per il caso di annullamento della sentenza definitiva di condanna di un soggetto. L’art. 17 tutela ogni individuo da “illegittime offese al suo onore e alla sua reputazione”.
Interessante la scoperta dell’articolo 20 del Patto:
“Qualsiasi propaganda a favore della guerra deve esser vietata dalla legge. Qualsiasi appello all’odio nazionale, razziale o religioso che costituisca incitamento alla discriminazione, all’ostilità o alla violenza deve essere vietato dalla legge”.
Esiste pure il diritto “di partecipare alla direzione degli affari pubblici, personalmente o attraverso rappresentanti liberamente scelti” (art. 25).
Tuttavia per mano di leggi elettorali particolari, di “sbarramento”, “premi di maggioranza”, di “liste bloccate”, tale diritto può essere misconosciuto.
L’art. 27, quindi, sostiene il diritto per le minoranze di “di professare e praticare la propria religione, o di usare la propria lingua, in comune con gli altri membri del proprio gruppo”.
Un diritto questo ampiamente disatteso in Europa.
A tutela di sopra menzionati diritti, è costituito un “Comitato dei diritti dell’uomo” (art. 28) a cui gli Stati s’impegnano, se richiesto, a inviare “rapporti sulle misure che essi avranno adottate per dare attuazione ai diritti riconosciuti”.
Il Comitato ha il “potere” di indirizzare agli Stati “osservazioni generali che ritenga opportune” (art. 40).
Il Comitato per i diritti umani è competente a ricevere ed esaminare comunicazioni individuali, note anche come “reclami individuali“, da o per conto di qualsiasi persona o gruppo che affermi di essere vittima di una violazione del Patto da parte di uno Stato parte. L’Italia ha ratificato il Patto il 15 Sep 1978. Il sito delle Nazioni Unite fornisce informazioni e formulari per la presentazioni di “reclami individuali”.
Cosa prevede il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e cultura
L’altro Patto, il “Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali” (1966, ratificato dall’Italia solo nel 2015), poi, riconosce “il diritto di ogni individuo di ottenere la possibilità di guadagnarsi la vita con un lavoro liberamente scelto od accettato” (art. 6) ma anche, sembra una minaccia, “un pieno impiego produttivo … degli individui”.
L’art. 7 prevede, per tali individui impegnati a produrre:
- “un equo salario”,
- “un’esistenza decorosa”,
- “la sicurezza e l’igiene del lavoro”,
- “una ragionevole limitazione delle ore di lavoro”.
L’art. 8 assicura “il diritto di sciopero, purché esso venga esercitato in conformità alle leggi” e “una protezione speciale deve essere accordata alle madri per un periodo di tempo ragionevole prima e dopo il parto” (art. 10).
Interessante l’art. 15 che garantisce il diritto “a partecipare alla vita culturale”, ma anche “a godere della tutela degli interessi morali e materiali scaturenti da qualunque produzione scientifica, letteraria o artistica di cui egli sia l’autore”.
A tutela di questi diritti è destinato un “Consiglio Economico e Sociale” costituito presso il Segretariato generale delle Nazioni Unite (art. 16). Gli Stati indirizzano a questo Consiglio dei rapporti “sulle misure che essi avranno preso e sui progressi compiuti al fine di conseguire il rispetto dei diritti riconosciuti nel Patto”.
Tale Consiglio, ancora, può trasmettere alla “Commissione dei diritti dell’uomo” dei rapporti affinché questa “formuli raccomandazioni di ordine generale” (art. 19).
Nessun singolo individuo può presentare istanze a questo Ente. Solo “Le ONG accreditate presso l’ECOSOC possono partecipare alle riunioni ufficiali; Presentare dichiarazioni scritte prima delle sessioni; Fare dichiarazioni orali; Incontrare le delegazioni governative ufficiali, i funzionari delle Nazioni Unite”. Per essere accreditate, e quindi richiedere lo “Status Consultivo”, tali ONG, devono esistere da almeno due anni, mostrare i propri bilanci e fare una richiesta ufficiale che verrà poi valutata, secondo le informazioni a questo link.
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Fonti e Note:
[1] Altalex, 15 gennaio 2021, avv. Lucia Galletta, “I diritti umani Definizione, normativa di riferimento e strumenti di tutela”.
[2] Scarica da questo link il “ Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo ” (1950).
[3] Scarica da questo link il “ Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici ” (1966).
[4] Scarica da questo link il “ Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali ” (1966).
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