Legge sull’immigrazione: sui rimpatri solo propaganda
Una Legge “propaganda” che non risolve i problemi connessi alle migrazioni e anzi li aggrava. E’ quanto denunciato dalle opposizioni alla Camera dei Deputati nel corso della seduta di lunedì 19 novembre.
E’ stata proprio una deputata della maggioranza, Valentina CORNELI (M5S), intervenendo in Aula, ad ammettere che la nuova legge potrebbe creare più problemi che risolverli: «il combinato disposto dell’articolo 1 e 12 del provvedimento potrebbe determinare un rischio relativamente al peggioramento della situazione della sicurezza relativamente alla presenza di immigrati sul territorio».
Lo scarno dibattito svoltosi ha portato chi lo ascoltava a rilevare, comunque, interessanti questioni.
Sicurezza, Magi: La sicurezza si ottiene con maggiore inclusione
In merito alle misure della legge, Riccardo MAGI (+EUROPA) ha sostenuto come «questo provvedimento, non produrrà più sicurezza, perché sicurezza equivale a maggiore inclusione, equivale a maggiore capacità di includere i cittadini stranieri attraverso iniziative e percorsi che pure faticosamente il nostro Paese, negli ultimi vent’anni, era riuscito a costruire».
Infine, il deputato di +Europa è intervento sulle preoccupazioni di molti nostri connazionali, che hanno sposato cittadini stranieri: «ci spiegate quale può essere la ratio di raddoppiare i tempi perché venga riconosciuta la cittadinanza ad un cittadino straniero, ad una cittadina straniera che contrae matrimonio con un cittadino italiano?».
Per Giuseppina OCCHIONERO (LEU) la nuova legge «calpesta irriguardosamente diversi articoli della nostra Costituzione e che mette a rischio conquiste di libertà, di uguaglianza, di civiltà giuridica».
Andrea GIORGIS (PD) ha ammonito come, in particolare, «l’istituto della revoca della cittadinanza contrasta con alcuni principi fondamentali dello Stato costituzionale contemporaneo, a partire dal principio di uguaglianza di fronte alla legge, e finisce con il consolidare e rafforzare una concezione di tipo “naturale” o “etnico” della cittadinanza».
Il deputato Emanuele FIANO (PD), poi, ha rinfacciato alla Lega il mancato intervento sul Trattato di Dublino: «nessuna notizia e nessun cenno in questo decreto, né in nessun’altra vostra iniziativa politica, nessuna dimostrazione che il Trattato di Dublino, quello che avete firmato voi nel 2003, che impedisce a coloro che arrivano nel nostro Paese di transitare in un altro Paese, lo vogliate cambiare».
600.000 immigrati irregolari e i rimpatri impossibili
I rimpatri annunciati dalla Lega in campagna elettorale sono solo propaganda, perché impossibili, tanto per ragioni tecniche che di costo.
E’ risultato evidente dalle dichiarazioni di diversi deputati. Emanuele FIANO (PD), infatti, ha fatto i conti in tasca alla Lega: «Sapete quanto costa un rimpatrio? Il rimpatrio di una persona costa circa 5 biglietti di aereo (due agenti, il rimpatriato, andata e ritorno per gli agenti, fa cinque biglietti), poi vi è il tempo di permanenza nel centro per il rimpatrio o dove volete voi; quindi il costo generale possiamo immaginarlo a 10.000 euro per un rimpatrio, e sono cauto, perché in realtà mi risulta che costi di più, quando voi avete stanziato in questo decreto 500.000 euro per i rimpatri per il 2019 – il che vuol dire 50 rimpatri in più rispetto ai fondi che già esistono – e 1 milione e mezzo per il 2020 e il 2021».
Sullo stesso tema Luca Rizzo NERVO (PD) che ha denunciato come, col miliardo e mezzo annuo stanziato dal Decreto immigrazione di Salvini, a partire dal 2020, «se anche la matematica non è cambiata, da pitagorica a matematica del cambiamento, vuol dire poco più di 200 rimpatri all’anno. Ossia, per rimpatriare i famosi 600 mila irregolari, impiegherete 2803 anni, più o meno come le rate per restituire i quarantanove milioni di euro».
Rimpatri, poi, che, in ogni caso, non si possono neanche iniziare perché «non c’è ancora nessun accordo concreto con i Paesi di provenienza», spiega Vincenza Bruno BOSSIO (PD).
Nel corso della seduta il Governo ha poi posto la cosiddetta “fiducia” su provvedimento che ha di fatto stoppato il dibattito e la possibilità di intervenire con emendamenti alla normativa in esame.
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