Mali: guerra civile infinita nel Sahel, l’impegno ONU appare insufficiente
La Missione ONU Minusma in corso di svolgimento in Mali – ex colonia francese da 18 milioni d’abitanti divisi in sette etnie principali – è balzata alla cronaca una decina di giorni fa per il pesante e grave attacco subito dai “caschi blu” ad Aguelhok (nel Nord del Paese, nei pressi del confine coll’Algeria e il Niger) e che è costata la vita, tra gli altri, ad almeno una decina di “caschi blu” del Ciad (25 i feriti).
Dopo le truppe militari provenienti dal vicino Burkina Faso, quelle del Ciad rappresentano il secondo maggior contingente dispiegato in Mali con 1.450 uomini e 22 poliziotti.
Come racconta Andrea De Giorgio sul sito dell’ISPI, sono centinaia i “caschi blu” morti in questa missione che è la «più pericolosa della storia delle Nazioni Unite».
Il Mali, infatti, è attraversato tanto da questioni separatiste (i Tuareg nel 2012 costituirono nel Nord lo Stato indipendente dello Azawad) quanto da scontri religiosi e intercomunitari. Ancora De Giorgio riporta l’ammissione dello scorso febbraio del generale François Lecointre, capo dello Stato Maggiore francese: «Non penso sarà possibile risolvere il problema in Mali in meno di dieci, quindici anni».
L’impegno dell’ONU in Mali
Per lo svolgimento della propria missione di protezione dei civili, l’ONU sta attualmente impiegando 17.123 uomini, schierati nelle principali città maliane tra cui Kidal, Gao, Tomboctu, Mopti, con un costo di circa 1,1 miliardi di dollari annui.
Una missione costellata di insuccessi se solo lo scorso 1 gennaio 37 civili, tra cui donne e bambini, sono rimaste uccisi, nel villaggio di Koulogon, in un attacco da parte di forze non identificate.
Le azioni intraprese in Mali non sono solamente a carattere militare ma anche di sostegno dell’agricoltura, della cultura, dell’informazione, al fine di garantire una stabilizzazione della regione. La missione MINUSMA, a tale proposito, pubblica pure un bollettino settimanale sulle attività in corso nel Paese.
Come spiega il Segretario Generale dell’ONU in un recente rapporto sulla crisi maliana, si sta valutando una ristrutturazione territoriale e amministrativa nonché investendo nel disarmo delle diverse fazioni, nella costruzione di una forza di polizia locale, nella costruzione di scuole, di fabbriche per il trattamento della carne, di punti di approvvigionamento d’acqua. Tuttavia, tanto la situazione dei diritti umani quanto quella umanitaria restano assolutamente precarie e preoccupanti.
Quale l’aiuto dell’Italia al Mali?
L’Italia partecipa da anni a questa missione ONU con ruoli minimi e di retroguardia: «7 militari, impiegati quale personale di Staff nel Quartier Generale militare dell’operazione a Bamako», si legge sul sito del Ministero della Difesa.
Contemporaneamente, l’Italia vi svolge una missione sotto l’egida dell’Europa (“European Union Training Mission”, in sigla EUTM Mali); qui «L’attuale contributo nazionale prevede un impiego massimo di 12 militari, quali istruttori militari e personale di staff» per «fornire addestramento ed assistenza sanitaria a favore delle Forze Armate maliane operanti sotto il controllo delle legittime autorità civili locali, al fine di concorrere al ripristino delle capacità militari necessarie alla riacquisizione dell’integrità territoriale del Paese».
Infine altri 4 militari italiani sono impiegati nella missione “EUCAP SAHEL” che ha il compito di «sostenere le Autorità Maliane nello sviluppo di autonome capacità di contrasto alla criminalità organizzata e al terrorismo nel SAHEL».
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