NATO: all’Italia costa 20 miliardi l’anno, meglio uscirne?
380 dollari l’anno (310 euro, al cambio odierno) per ogni italiano, neonati inclusi. Tanto ci costa la partecipazione alla NATO, l’organizzazione militare che, nei propri obiettivi, sostiene avere la cura della difesa collettiva e della sicurezza della ventina di Paesi aderenti.
Costituita nel 1949 e sviluppatasi con la “guerra fredda”, oggi, a quasi 30 anni dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, ha ancora un senso?
D’altro canto, non c’è già l’ONU, con la sua forza di “peacekeaping”, i “caschi blu”, ad “aiutare i Paesi a navigare nel difficile percorso tra un conflitto e la pace” (come scrivono sul loro sito web)?
Quanto ci costano i caschi blu dell’ONU
Le attuali 15 missioni dei “caschi blu” in corso, sostenute prevalentemente da truppe asiatiche o africane, sono costate, nel 2016, 7,8 miliardi di dollari cui l’Italia ha contribuito per il 3,75% (ovvero per 241 milioni di euro annui, al cambio di oggi), con uomini e rischi (134 morti – non italiani – nel 2017, di cui 16 per incidenti, 51 per malattie, 61 per azioni armate, 6 in altri casi).
Eppure continuiamo, anche, a finanziare la NATO.
Quanto ci costa annualmente la NATO
L’Italia ha versato, nel 2016, a questa organizzazione una somma pari all’1,11% del proprio prodotto interno lordo. In cifre, 19,98 miliardi di euro (quasi 55 milioni al giorno).
Non contenta, la NATO ha chiesto a tutti gli aderenti di aumentare la quota anzi proprio quasi raddoppiarla per raggiungere il 2% del PIL.
Sono, al momento, solo cinque i Paesi che rispettano questa direttiva. Ma, a leggere il programma elettorale del Partito Democratico, sembra che l’Italia voglia adeguarsi subito.
[bctt tweet=”310 euro annui per ogni italiano, neonati inclusi. In totale quasi 20 miliardi. Tanto ci costa la NATO.” username=”fronteampio”]
L’Organismo – sto esaminando la relazione 2016 presentata lo scorso marzo 2017 dal segretario generale Jens Stoltenberg – ad oggi costa circa 2.119 milioni di dollari (1,73 miliardi di euro).
Il budget (secondo il “Rapporto annuale 2015”) è diviso tra i 700 milioni di dollari per investimenti in armi e infrastrutture (“Security Investment Programme”), 1.200,7 milioni di dollari per le spese vere e proprie per la difesa e del personale (“Military Budgets”) e, il resto – circa 211,3 milioni di dollari –, è il costo per il “Civil Budget” ovvero, in particolare, le spese per le pensioni del personale.
Oltre il lato strettamente economico, c’è il costo in termini d’impiego umano, di soldati. Le truppe italiane, agli ordini della NATO e, in particolare del generale statunitense John W. Nicholson, in Afghanistan (missione RSM), ammontano a 1.037 uomini; quelle in Kosovo (missione KFOR), guidate dal generale italiano Giovanni Fungo, ammontano a 551 uomini.
Poi ci sono delle operazioni minori e le esercitazioni, 107 nel 2016, cui vengono impegnati ulteriori truppe, anche italiane, e ulteriori mezzi.
Forse è giunto il momento di porsi, con forza, la domanda se sia il caso di chiedere 20 miliardi annui (o più) di sacrifici agli italiani per il “piacere” di gettare un po’ di bombe sull’Afghanistan o svolgere “esercitazioni / prova di forza” in chiave anti-Putin.
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