Non passa la co-gestione delle aziende: tradito articolo 46 Costituzione!

Senza scomodare la Rivoluzione Russa del 1918, che introdusse il “controllo operaio” — ovvero il consenso dei lavoratori per permettere la chiusura di un’azienda o modificarne sensibilmente il funzionamento [1] — un moderato come Amintore Fanfani (DC) propose nel 1946 che la nuova Costituzione Italiana prevedesse “la partecipazione dei lavoratori (e, ove del caso, degli utenti) alla gestione, alla proprietà, agli utili delle imprese“[2].
Il dibattito democratico e il passare del tempo portarono alla formulazione di due articoli fondamentali:
- l’articolo 41, che stabilisce che “l’attività economica pubblica e privata deve essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”,
- e l’articolo 46, che riconosce ai lavoratori il diritto “di collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.
Tuttavia, questo diritto è rimasto solo sulla carta: in 78 anni, l’assenza di una legge attuativa ha impedito che si traducesse in una reale ed obbligatoria partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese.
L’attuazione dell’art. 46 della Costituzione: dalla proposta CISL all’approvazione
Grazie all’iniziativa della CISL, che ha raccolto circa 400.000 firme per una legge di iniziativa popolare, il tema è finalmente entrato nel dibattito politico.
Già nel 2021, Antonio Gozzi, imprenditore dell’acciaio, lo aveva affrontato alla “Leopolda”, affermando che “i lavoratori possono diventare titolari gratuitamente di classi di azioni che non danno diritto di voto in assemblea, ma che consentono di partecipare agli utili e alle plusvalenze”. Secondo Gozzi, “se i lavoratori diventano e si sentono soci dell’impresa, non esistono più motivi di conflitto e contrapposizione, perché gli interessi di tutti si allineano con quelli dell’impresa“[3]. Persino l’UGL, sindacato di destra, nel 2023 affermava che “la partecipazione non è semplicemente uno strumento, ma la frontiera del lavoro del futuro” e che essa può “superare il conflitto fra capitale e lavoro”[4].
La cogestione non è un’idea rivoluzionaria o utopistica, ma una realtà consolidata in diversi paesi occidentali. La Mitbestimmung, ad esempio, è un principio cardine del sistema industriale tedesco dal 1951 [5]. Questo modello consente ai lavoratori di partecipare attivamente alle decisioni aziendali, promuovendo stabilità economica e sociale.
Perché la “Sinistra” sentenzia: Questa legge è solo un titolo vuoto
Perché allora la proposta di legge italiana è stata approvata alla Camera e trasmessa al Senato, con la contestazione delle “Sinistre”?
Tre deputati del PD, del M5S e di AVS hanno spiegato in Aula il motivo del loro voto non favorevole.
Arturo Scotto (PD) ha denunciato il depotenziamento della legge rispetto al testo originale della CISL: “Partiamo da 22 articoli e 76 commi, finiamo con 15 articoli e 30 commi. La parola ‘contrattazione collettiva’, inizialmente presente decine di volte, è stata quasi eliminata. L’applicazione della legge dipenderà unicamente dalla volontà delle imprese: senza alcuna obbligatorietà, tutto sarà lasciato alla ‘gentile concessione’ di qualche imprenditore illuminato” [6].
Anche Emiliano Fenu (M5S) si è detto deluso: “Il risultato finale è inutile: l’impresa, se vuole, può informare i propri dipendenti su ciò che ritiene opportuno. È stato tradito lo spirito della Costituzione e dell’articolo 46″. Ha poi aggiunto che la nuova legge “schiaccia i diritti dei lavoratori e consolida il potere delle imprese”[6].
Francesco Mari (AVS) ha sottolineato che il testo modificato non soddisfa nessuno: “La stragrande maggioranza dei lavoratori iscritti ai sindacati è contraria a questa proposta, così come le associazioni datoriali, Confindustria in primis“[6]. Inoltre, ha evidenziato una grave mancanza: “Non c’è nulla sulla partecipazione agli utili. Tutta questa discussione per ridursi a un fringe benefit [pagamento premi di risultato con imposte ridotte, N.d.R.] fatto di azioni erogate al posto del salario”.
In conclusione, Scotto ha sintetizzato il problema: “Questa legge è solo un titolo vuoto. Ma i titoli non servono a nessuno, men che meno ai lavoratori italiani”.
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Fonti e Note:
[1] Partito Comunista Rivoluzionario, 21 dicembre 2023, Francesco Giliani, “I soviet e la democrazia operaia”.
[2] Della Repubblica, Commissione per la Costituzione – III Sottocommissione, “Relazione del deputato Fanfani Amintore sul controllo sociale dell’attività economica”, pag. 5.
[3] EuNews, 25 novembre 2021, “La partecipazione dei lavoratori agli utili d’impresa”.
[4] Il Secolo d’Italia, 16 ottobre 2023, “È arrivato il tempo di applicare l’art. 46 della Costituzione mentre si allarga il fronte partecipativo”.
[5] PensaLibero, 9 aprile 2012, “Il modello tedesco. Come funziona davvero” (di Enrico Grazzini da MicroMega on line).
“In Germania i rappresentanti dei lavoratori – eletti da tutti i lavoratori, iscritti o meno al sindacato – partecipano al board delle grandi e medie imprese, in posizione (quasi) paritaria con gli azionisti, gli shareholders. [Una ricerca] indica chiaramente che le aziende cogestite non solo non soffrono a causa della gestione congiunta e del potere duale, ma che anzi guadagnano in competitività rispetto a quelle governate secondo il modello proprietario e gerarchico tradizionale. La condizione del successo è però che non siano (solo) i sindacati a decidere chi siederà nel board aziendali ma i lavoratori stessi. Il loro [dei lavoratori, N.d.R.] diritto di veto – per esempio nel caso importantissimo delle localizzazioni all’estero, delle chiusure di impianti, delle fusioni e delle acquisizioni aziendali – è sostanziale e non puramente nominale”.
[6] Camera, 26 febbraio 2025, “PROPOSTA DI LEGGE D’INIZIATIVA POPOLARE: “La partecipazione al lavoro. Per una governance d’impresa partecipata dai lavoratori” (1573)”.
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