Rete Numeri Pari e Bin Italia: il Reddito di Cittadinanza non è un Reddito di Cittadinanza!
«Il RdC introdotto dal governo è un’altra cosa rispetto a quello che, ovunque nel mondo, viene inteso per reddito di cittadinanza o il reddito minimo garantito: ne mortifica il senso e ne tradisce le finalità: non siamo davanti a quella rivoluzione annunciata ma a un sussidio di povertà».
La “Rete dei Numeri Pari” boccia senza mezzi termini il Reddito di Cittadinanza uscito dal cappello del governo.
Per la Rete cui aderiscono diverse associazioni italiane, tra cui anche Libera, si tratta di una «misura spot», che serve solo a «distrarre l’opinione pubblica dalle cause della crisi» e che, in definitiva «sposta la colpa del peggioramento delle condizioni di vita del Paese sugli impoveriti, sui migranti».
La “Rete dei Numeri Pari”, in particolare, rileva come «la platea dei beneficiari è meno della metà degli aventi diritto ovvero dei 9,3 milioni di residenti che vivono sotto la soglia di povertà relativa».
Un vero Reddito di Cittadinanza, spiega, dovrebbe «garantire la dignità della persona, essere strumento della valorizzazione della scelta, strumento di libertà». In sostanza, «un obiettivo specifico delle misure di reddito minimo, è quello che di restituire (sia pure in parte) alle persone la possibilità di rifiutare lavori indecenti, magari per proseguire negli studi o trovare occasioni più coerenti con i propri piani di vita».
Questo, col “topolino” partorito dall’accoppiata Lega e Cinque Stelle, non avviene.
Bin Italia: Se non lo cambia il Parlamento, il RdC sarà cambiato dalla Magistratura
Non molto più “moderato” il commento di Bin Italia, l’associazione che sostiene il Reddito di Base universale ma che difende anche le misure di transizione verso il proprio obbiettivo. Anche se ammettono come «il Rdc a nostro giudizio rappresenta una significativa discontinuità nelle politiche sul welfare del nostro Paese […] anche se presenta numerosi punti critici da rimuovere con urgenza anche nel momento della conversione parlamentare».
Per Bin Italia, intanto, «certamente su questo provvedimento sorgeranno molti dubbi sui quali dovrà intervenire la magistratura», «sarà probabilmente domandata anche un’estensione in via giudiziaria». Il motivo è chiaro: «l’erogazione del beneficio dovrebbe avvenire secondo criteri non discriminatori per tutti i residenti stabili sul territorio italiano».
L’associazione ribadisce che «le cosiddette “clausole di residenza pregressa”, pur se non illegittime di per sé, sono comunque viste con aperto sfavore da parte della Corte di Giustizia, e vanno pertanto sottoposte a valutazione circostanziata e rigorosa, per il rischio o il sospetto di discriminazione indiretta che è ad esse connaturato». Bin Italia ricorda come, in proposito, «l’Italia è già stata condannata in passato (sentenza 16 gennaio 2003, causa C-388/01 Commissione/Italia) per aver concesso delle agevolazioni tariffarie nell’accesso ai musei ai soli anziani residenti, e non anche ai turisti comunitari, che avessero gli stessi requisiti di età previsti per gli italiani».
Bin Italia, quindi, contesta che il provvedimento contenga una «narrazione “tossica” […] secondo un’ottica, che era comunque alla base anche del ReI, che considera il “povero” colpevole del suo stato e per questa ragione da sorvegliare, indirizzare e se del caso punire».
Per l’associazione, la misura «deve essere finalizzata a rafforzare gli spazi di autodeterminazione individuale e non a raggiungere a tutti i costi risultati occupazionali»; inoltre, «il target deve comprendere non solo i disoccupati e le persone in cerca di prima occupazione ma anche i cosiddetti working poor il cui reddito è insufficiente».
Infine, Bin Italia critica la distribuzione familiaristica del Reddito di Cittadinanza. Il beneficio andava invece riconosciuto a titolo individuale. Con la scelta del governo, infatti, accadrà che le «sanzioni colpiranno tutto il nucleo familiare anche se a compiere la “trasgressione” sia un solo componente».
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