Sedati e dimenticati: il lato oscuro delle carceri italiane

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La pena carceraria, secondo il principio costituzionale, non deve tradursi in sofferenza, ma in un percorso di rieducazione e reinserimento nella società. Eppure, nelle carceri italiane, il sovraffollamento e la mancanza di opportunità lavorative esterne rendono questo obiettivo un’utopia, trasformando le celle in luoghi di esclusione e degrado.

A denunciare questa realtà è la relazione che accompagna il disegno di legge n. 1044, presentato lo scorso febbraio 2024 dalla senatrice di Alleanza Verdi Sinistra, Ilaria Cucchi. La proposta – che prevede l’obbligo di autopsia per i detenuti deceduti in carcere – è molto più di un’iniziativa politica: è una fotografia impietosa dell’inefficienza del sistema penitenziario italiano.

Sovraffollamento e assenza di prospettive: una doppia condanna

La senatrice evidenzia come il sovraffollamento non solo privi i detenuti degli spazi vitali minimi, ma limiti anche l’accesso al lavoro, all’istruzione e ad altre attività rieducative: «Nel 2022, dai dati raccolti dall’Osservatorio sulle condizioni di detenzione di Antigone nelle 97 carceri visitate in tutto il Paese, nel 35% degli istituti c’erano celle in cui non erano garantiti nemmeno 3 mq calpestabili per ogni persona detenuta».

Un dato allarmante, che si scontra frontalmente con l’articolo 27 della Costituzione, il quale stabilisce che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità» e devono essere finalizzate alla «rieducazione del condannato».

Ma come può esserci rieducazione se due detenuti su tre restano totalmente esclusi dal mondo del lavoro?

Sempre secondo i dati raccolti:

  • Al 31 dicembre 2022, solo il 35,2% dei detenuti svolgeva un’attività lavorativa, ma molti di essi lavoravano poche ore al mese.
  • L’86,8% dei detenuti occupati svolgeva lavori interni al carcere, spesso di scarsa utilità nel mercato del lavoro.
  • Solo il 4,6% dei detenuti aveva accesso a un impiego presso aziende esterne.

Questi numeri dimostrano come il sistema carcerario italiano non solo fallisca nel garantire un’effettiva rieducazione, ma crei le condizioni per un futuro senza prospettive, in cui la recidiva diventa quasi inevitabile.

Depressione e psicofarmaci: la prigione come incubo senza via d’uscita

La privazione di spazi e opportunità non porta solo all’emarginazione sociale, ma ha anche pesanti ripercussioni sulla salute mentale dei detenuti.

Secondo il Rapporto sulla salute mentale in carcere pubblicato nel 2022 dall’Associazione Antigone:

  • Quasi il 10% dei detenuti è affetto da diagnosi psichiatriche gravi.
  • Il 20% assume stabilizzanti dell’umore, antipsicotici o antidepressivi (una percentuale doppia rispetto a chi ha una diagnosi ufficiale).
  • Il 40,3% fa uso di sedativi o ipnotici, segno di un malessere diffuso e di una gestione della sofferenza spesso basata sulla medicalizzazione forzata anziché su interventi rieducativi e terapeutici.

Questi dati non sono solo numeri: raccontano di uomini e donne privati della dignità, rinchiusi in celle sovraffollate, senza una prospettiva di riscatto e sedati per sopportare la disperazione.

Una violazione dei principi costituzionali

La condizione attuale delle carceri italiane è una palese violazione della Costituzione e della giurisprudenza nazionale ed europea.

La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 135 del 2013 (Pres. Gallo, Est. Silvestri), ha stabilito che lo Stato ha il dovere di garantire ai detenuti condizioni di vita rispettose della dignità umana, condannando la detenzione in spazi angusti e privi di servizi adeguati.

Allo stesso modo, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha più volte sanzionato l’Italia per trattamenti inumani e degradanti nei confronti dei detenuti, come nel caso Torreggiani e altri c. Italia (2013), in cui venne evidenziata l’incompatibilità delle condizioni carcerarie italiane con l’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che vieta la tortura e i trattamenti inumani.

La necessità di una riforma strutturale

Questa situazione non può più essere ignorata. Le carceri non devono essere luoghi di tortura moderna, ma spazi di riabilitazione e reinserimento sociale. È necessario:

  • Ridurre il sovraffollamento con misure alternative alla detenzione per reati minori.
  • Aumentare le opportunità lavorative per i detenuti, coinvolgendo aziende esterne.
  • Potenziare l’assistenza psicologica e psichiatrica, per trattare il disagio mentale senza abuso di psicofarmaci.

Come ricorda la stessa Costituzione, la pena non può essere solo reclusione. Deve essere anche possibilità di riscatto. Oggi, per molti detenuti, questa possibilità è negata.

Le proposte esistono, ma chi le avanza viene allontanato dalle Istituzioni “democratiche”.

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Natale Salvo

Nato e cresciuto nella terra del “Gattopardo”, la Sicilia. Ha dedicato la propria esistenza all'impegno sociale. Allenatore di una squadretta di calcio di periferia, presidente del circolo di Legambiente, candidato sindaco per il Partito Umanista. Infine blogger d’inchiesta; ha pagato le sue denunce di cattiva amministrazione con una persecuzione per via giudiziaria. E' autore del libro "La rivoluzione copernicana chiamata Reddito di Base", edito da Multimage, Firenze.

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