Ferragosto di Sangue a Grammichele: la strage dimenticata

Grammichele (CT), 16 agosto 1905. Una giornata di festa si trasforma in tragedia. Nel cuore del paese, la folla che celebra San Rocco, il protettore contro le pestilenze, la fame e le calamità, viene colpita dal piombo dell’esercito italiano. L’aria di festa si dissolve nel fumo della polvere da sparo, le grida di giubilo si tramutano in urla di dolore. Sul selciato restano i corpi senza vita di sette persone, tra cui un bambino di appena dieci anni. Altri sei moriranno nei giorni successivi. La terra si tinge di rosso, il popolo paga con il sangue il prezzo della sua ribellione contro l’oppressione fiscale.
Tutto ha inizio nel pomeriggio, quando il corteo in onore di San Rocco attraversa le vie del paese. Contadini, lavoratori, uomini e donne del popolo marciano fianco a fianco, ma nelle loro anime brucia un fuoco che non è solo quello della devozione. Sono stanchi, affamati, esasperati dalle tasse che li riducono in miseria, schiacciati da un sistema che arricchisce i “cappeddi”, i signori del paese, e lascia loro solo fatica e fame. Quando il corteo giunge nella piazza centrale, un uomo si fa avanti.
Si chiama Lorenzo Grosso, ha quarantotto anni, ma tutti lo conoscono come “Piriddu”. Il suo grido si leva sopra il brusio della folla: “Compagni, dobbiamo unirci contro i civili, contro i cappeddi! Abbasso le tasse, abbasso i cappeddi!”. Le sue parole sono scintille su un campo di stoppie secche. La folla esplode, la rabbia si trasforma in azione. In un attimo, il Casino dei Civili, simbolo del potere e della prepotenza dei ricchi, viene preso d’assalto. Le fiamme si alzano, divorano mobili, tendaggi, documenti. Ma l’obiettivo più prezioso sono le cartelle esattoriali, l’arma con cui i potenti strangolano il popolo. Bruciano, si dissolvono nel fuoco della rivolta. Per un istante, sembra che la giustizia sia stata servita.

La reazione dello Stato contro il Popolo di Grammichele
Ma la reazione non tarda ad arrivare. Dieci carabinieri e diciotto soldati giungono per reprimere la protesta. La tensione cresce, il popolo urla la sua rabbia, gli uomini armati sentono il peso dell’ordine ricevuto. Il sottotenente che comanda le operazioni non esita: i soldati si schierano sulla scalinata della Chiesa Madre. Poi, l’ordine fatale. I fucili si alzano, i colpi partono. La piazza si riempie di grida e spari, il sangue bagna le pietre.
Sette morti sul colpo. Un bambino di dieci anni cade tra le braccia della madre, il suo corpo senza vita un simbolo atroce della violenza dello Stato contro il suo stesso popolo. Altri sei moriranno nei giorni seguenti, mentre il pianto delle famiglie si mescola al silenzio del potere. Nei giorni successivi, quarantuno persone vengono arrestate, incarcerate come ribelli.
Oggi, a ricordare il massacro c’è solo una via, nel quartiere dello Spirito Santo: “Ferragosto di sangue”. Nessuna lapide, nessun monumento. Nessuna giustizia per chi morì quel giorno, per chi osò alzare la testa contro un sistema che li voleva sottomessi. Ma la memoria non si spegne. Resta nei racconti, nelle voci che ancora sussurrano di quel giorno in cui il popolo si ribellò. E in cui lo Stato rispose col piombo.
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Fonti e Note:
[1] Wikipedia, “Grammichele”, “Storia”.
[2] Grammichele.eu, 16 agosto 2014, Benedetto Greco, “16 agosto 1905: la strage di San Rocco”.
[3] Iene sicule, 20 agosto 2020, “La strage di San Rocco a Grammichele (Ct) nel ricordo di Rosario Sorace”.
Una conferenza del prof. Raffaele Manduca, professore associato di Storia moderna presso il Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università degli Studi di Messina, dell’9 ottobre 2024 presso il Liceo Artistico di Grammichele ne ricorda la storia.

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